Un anno di Beatles (sesta parte)

Scritto da DanieleBazzani il 05/Mar/2011 alle 13:53

Sezione: Altro

 

“Is there anybody going to listen to my story…”

Il loro sesto lavoro è il primo album per il quale i ragazzi si presero una vera pausa, un mese in studio senza scocciature, solo lavoro strettamente legato al prodotto in uscita. E dire che “si sente” è poco. Abbiamo forse già definito Help! l’album della svolta, ma pensandoci su, e pensando a ciò che analizzeremo nei prossimi mesi, si può considerare Rubber Soul un vero e proprio ponte fra i Beatles “prima” e “dopo”, un anello di congiunzione fra la loro prima parte di vita musicale e la seconda, quella che li condurrà direttamente nell’Olimpo delle note.

Era passato talmente poco dal quinto disco che non ebbero neanche il tempo di far precedere il sesto dalla consueta uscita del singolo, il 45 uscì nel medesimo giorno ma si guardarono bene dall’inserirlo nell’album, come sempre: ecco quindi che due capolavori assoluti come “Day Tripper” e “We Can Work It Out” non sono su nessun disco dei Beatles!

Chi ci ha seguiti fino a qui sa che stiamo per lanciarci nel consueto giochetto, vediamo come sarebbe uno dei più importanti dischi della storia del pop se in scaletta ci fosse anche il singolo pubblicato a parte (volevamo lasciar fuori “Run For Your Life”, brano che Lennon ha dichiarato di odiare, ma non ce la siamo sentita, fatelo voi): 

  1. Day Tripper
  2. Drive My Car
  3. Norwegian Wood (This Bird Has Flown)
  4. You Won't See Me
  5. Nowhere Man
  6. The Word
  7. Michelle   
  8. What Goes On (Lennon/McCartney/Starkey)
  9. Think for Yourself (George Harrison)
  10. Girl
  11. We Can Work It Out
  12. I'm Looking Through You
  13. In My Life
  14. Wait
  15. If I Needed Someone (George Harrison)
  16. Run for Your Life

Ecco che un LP che è stato inserito fra i primi 10 o 40 o 100 dischi più importanti del ‘900 (a seconda di chi compilasse la classifica di turno), diventa ancora più bello.

Giochi a parte, siamo qui a riflettere sul lavoro della band, in particolare su quello che è stato un punto di svolta, non solo nella loro carriera, ma per la musica pop nel suo complesso.

Anche se in effetti ci rendiamo conto che queste parole le potremo usare per ogni singola uscita futura della band, ogni volta una sterzata e un’innovazione significativa. Per non parlare della qualità.

Certo è che già dai testi, prima ancora che dalla musica e dagli arrangiamenti, si capisce che Lennon e McCartney stanno crescendo, artisticamente e umanamente, non sono più ragazzini e la loro necessità di dire cose diverse, stimolati dal mondo musicale circostante, si fa sentire.

Ecco che “Norwegian Wood” e “Girl” parlano di amori andati male, “In My Life” è una meravigliosa e nostalgica riflessione sul passato (fatta da un venticinquenne!) e “Nowhere Man” introduce una tipologia di personaggio del tutto nuova, apparentemente estranea al loro mondo.

Il sound è più maturo, le scelte più ragionate, si inizia a sentire che la registrazione non è più un modo per fissare cose già esistenti ma per crearne di nuove, inaspettate. Così il sitar fa la sua comparsa su “Norwegian Wood” e diventerà un suono caratteristico degli anni ’60 e il rock’n’roll che li accompagnava dagli esordi è, per la prima volta, praticamente assente.

 

 

 

Per non citare le due meravigliose ballad a firma di Lennon, “In My Life” e “Girl”, la prima condita da un superbo assolo di George Martin al piano, suonato a metà velocità e poi raddoppiato in fase di missaggio e la seconda dotata di una caratteristica interessante: il respiro (inspirato e ispirato) di Lennon che segue il verso “Oh, Girl” sul ritornello è innovativo e coraggioso allo stesso tempo, potenzialmente poteva rendere ridicolo un verso molto intenso, così non è stato.

In esclusiva per Laster

La chitarra prende spazi sempre più importanti, non che prima fosse assente, ma ogni nota è al posto giusto: nonostante fosse scritta “su commissione”, “Drive My Car” è perfetta dalla prima all’ultima nota, la chitarra di Paul – lo confermò George in un’intervista - suona un assolo misurato ma senza sbavature, le voci si impastano sempre meglio e in maniera sempre più ricca.

“Nowhere Man” ha un altro di quegli assoli tanto giusti da non sembrare quasi tali, il discorso vale anche per “Michelle”, brano su cui l’elettrica di George sembra cantare, più che suonare; su “Think For Yourself” troviamo addirittura un basso distorto, non sappiamo se sia il primo della storia, ma non devono essercene stati molti altri prima!

E che dire del riff di “Day Tripper” entrato dritto nella storia e omaggiato dai Police su “O My God” nel loro ultimo album Synchronicity, o della breve introduzione acustica di “Michelle” suonata da Paul e seguita da quel capolavoro di canzone?

Ultima chicca un Harrison “atkinsiano” su “What Goes On” cantata da Ringo, la sua Gretsch suonata arpeggiata fornisce un tocco di classe ad un brano dal sapore country.

Le composizioni sono sempre più raffinate, ci sono modulazioni continue ma mai invasive, tutto è al servizio del brano, i due stavano diventando dei veri capiscuola. Harrison stesso era sempre più convincente.

Vi lascio allo scritto di Davide Canazza che affronterà nel dettaglio tutti i particolari chitarristici con la consueta dovizia nel suo “I pensieri di Winston”.

(leggete il resto su fingepicking.net)

I pensieri di Winston

di Davide Canazza

Sul retro del primo album dei Beatles c'era chiaramente scritto quale fosse il ruolo e lo strumento di ciascun membro della band: John alla chitarra ritmica, George alla solista, Paul al basso e Ringo alla batteria.

A partire da Rubber Soul le carte si mescolano definitivamente e i quattro diventano intercambiabili, versatilità a 360° se si considera che anche Ringo viene accreditato all'organo Hammond su "I'm looking through you".

Questo LP è un vero e proprio giro di boa, il confine tra quelli che vengono considerati il primo e secondo periodo Beatles. E devo ammettere che è anche uno dei miei preferiti! L'atmosfera che si respira ascoltando questo disco è prevalentemente americana, sprizza rhythm'n'blues da tutti i pori! Non per niente s'intitola Rubber Soul! Lo stesso McCartney, in una vecchia intervista, lo aveva definito come "il loro tributo alla Motown"!

 

 

Gli arrangiamenti sono ricchi e vari, gli strumenti utilizzati sono sempre più variegati tanto che diventa impossibile riproporre dal vivo la maggior parte dei brani. Nei concerti che seguiranno i Beatles eseguiranno live solo due pezzi tratti da questo album: "Nowhere man" e "If I needed someone" che si aggiungono ai due brani del singolo collegato, "Day tripper" e "We can work it out".

In studio si fa abbondante uso di organo Hammond (un RT3 con Leslie), armonium, i già citati Vox Continental Organ e l'Hohner Pianet affiancati a due pianoforti acustici, un Steinway grancoda e un Challen verticale.

Sul versante amplificatori finisce l'egemonia Vox. Nell'estate del 1965 arriva un Fender Bassman blond, versione testata e cassa (piggieback) del 1963. Inizialmente riservato a Paul, diventerà invece l'ampli preferito da Harrison che lo utilizzerà con la chitarra per tutta la sua carriera per la maggior parte delle sue incisioni.

In esclusiva per Laster

Il disco si apre con l'intro di chitarra suonata da McCartney in "Drive my car". Suo è anche l'assolo centrale, suonato in stile misto dita e slide con l'Epiphone Casino! George suona invece il riff di sottofondo, ispirato all'accompagnamento di Respect di Otis Redding, con la sua nuova Gibson ES345TD.

All'ascolto si nota un pizzico di tremolo: se ne deduce che un vecchio AC30, unico ampli in possesso dei Beatles dotato di quell'effetto, fosse stato recuperato per l'incisione!

Harrison utilizza la 345 anche per l'assolo di "Michelle" e per le parti di elettrica di "The Word" e "I'm looking through you". Su "What goes on" e "In my life" George torna invece alla sua "vecchia" Gretsch Tennessean.

In "Nowhere man" l'assolo di chitarra è suonato all'unisono da Harrison e Lennon con le loro Stratocaster, chitarre utilizzate massicciamente anche in altri pezzi dell'album.

La chitarra acustica ritmica è suonata da John con il capotasto mobile al secondo tasto.

In "Think for yourself" l'unica chitarra è la ritmica di George, suonata con la Strato, mentre i bassi sono addirittura due: uno standard e l'altro filtrato attraverso un fuzz Vox Tone Bender, entrambi eseguiti da McCartney.

Il riff assomiglia molto ad un tormentone che ci ricorda i mondiali del 2006: che Jack White si sia ispirato proprio a questo brano per "Seven Nation Army"?

Sull'altra sua composizione, "If I Needed Someone", Harrison esegue il riff con la sua nuova Rickenbacker 360/12 mentre la ritmica è suonata da Lennon con la Strato.

Su "Day tripper" George esegue il riff e la scala discendente di sottofondo all'assolo nel bridge centrale con la 345 mentre John suona l'assolo con la Stratocaster. Lennon è anche l'autore del riff che caratterizza "Day Tripper", anche se poi è suonato dal collega.

(leggete il resto su fingepicking.net)

Ho visto i Beatles dal vivo (2)

Di Dennis Conroy

Dovetti dire all’amabile Claire Kennedy che non conoscevo il gruppo di cui parlava, mentre cercavo di mantenere il carisma che il mio ruolo di chitarra solista all’interno dei Premiers mi conferiva.
La incitai a dirmi tutto di loro; avevano un cantante come Elvis o Cliff? Suonavano strumentali come gli Shadows? Quando rispose di no a entrambe le domande capii che dovevo scoprire questo gruppo dal nome strano.

 

 

 

Sono passati quasi 50 anni dalla prima volta che misi piede al Cavern, quel mondo al piano di sotto governato dai Beatles. Non ho mai tenuto diari di quando o quante volte li abbia visti, o cosa avessero suonato in determinate esibizioni, quindi tutto quello che posso raccontare sono pezzi casuali di memoria, canzoni e fatti che ancora tengo cari, di cinque ragazzi che hanno cambiato non solo la mia vita musicale, ma la mia vita.

Lasciando la pioggia in Mathew Street, ciò che ricordo della mia prima visita in quello che era forse un mercoledì a pranzo, entrando al Cavern, fui colpito dalla sensazione di attesa. Ancora oggi ricordo bene quella atmosfera. Ero con il nostro bassista, Alan Walton. Imboccammo la scala, fatta di gradini di pietra scivolosi e poco illuminati e verso la metà li sentimmo.

Era un suono come non ne avevo mai sentiti prima. I muri di mattone del Cavern sembravano trattenere il suono di quella band ancora mai vista (li chiamavamo band groups in quel periodo) per poi rilasciarlo intorno agli angoli e sulle scale per accoglierci. Ricordo distintamente il suono secco delle chitarre senza riverbero (nessun eco esterno) e la batteria che copriva una voce attutita.

Mentre aspettavamo in fila per pagare, credo uno scellino e sei pence (circa otto pence di oggi) sentimmo molto meglio. Sono abbastanza sicuro che la band stesse suonando "Red Hot (My Girl Is)". Comunque, dopo quella che sembrò un’eternità, ma fu probabilmente solo la lunghezza del numero di apertura, mettemmo gli occhi sui Beatles.

Guardando il palco, alla nostra sinistra c’era George con Paul al centro, John era a destra di fronte a un piano verticale e Pete alla batteria. Gli amplificatori erano su delle sedie dietro John e George, mentre quello di Paul era sulla pedana rialzata della batteria. I Beatles disattendevano ciò che ci si sarebbe aspettato indossare da una simile band, vestendosi con magliette, jeans e stivaletti cubani con il tacco.

 

 

A quel tempo portavano capelli abbastanza lunghi, ma guardando le foto oggi si capisce che erano piuttosto corti, considerando ciò che sarebbe successo negli anni a venire.

Questa immagine dei Beatles sul palco fu, per noi, secondaria alla musica che da quel palco arrivava. Nei due anni in cui ho avuto modo di vederli dal vivo quella musica era un misto del più rock dei rock’n’roll che possiate immaginare, alcune delle più belle canzoni della Tamla/Motown e canzoni di ogni genere come "Falling In Love Again", "A Taste Of Honey", "Henry The Eight" così come loro composizioni, "PS I Love You", "Love Me Do" e "The Tip Of My Tongue".

 

 

 

Cosa portai via da quella mia prima serata al Cavern fu un bruciante desiderio di cambiare completamente la mia attitudine verso la musica e di cosa volessi che la musica fosse per me. Era un momento di cambio di vita.

Quando Alan e io suonammo il nostro concerto successivo al Chinese N.1 in Berry Street a Liverpool, le cravatte rimasero a casa e le maniche delle magliette arrotolate. Il mio riverbero fu acceso solo sugli strumentali.

La prossima volta. Cosa suonavano, come suonavano, con chi suonavano, cosa dicevano.

Daniele Bazzani

 

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