Decima puntata della rubrica che vede Daniele Bazzani e Giovanni Onofri parlare delle...
Ma andiamo con ordine...
Nel 1968 gli Stones erano sulla cresta dell'onda, rappresentavano la parte più dura, sporca e cattiva del Rock e riuscivano senza grandi fatiche ad essere all'altezza della loro fama.
Con la pubblicazione di Beggars Banquet avevano riacquistato quel sound grezzo e incazzato che si era un pò perso nella loro ricerca di psichedelia, fatta con quel Their Satanic Majesties Request, che fece storcere il naso a qualcuno.
La loro crescente popolarità li portò ad essere contattati da un produttore televisivo per una serie di Show da mandare in onda per la Tv britannica (se non ricordo male). Mick è molto entusiata dell'idea, cerca di trovare delle soluzioni originali perchè non aveva voglia di andare semplicemente in televisione a suonare, voleva stupire!
L'idea iniziale fu quella di fare più puntate, addirittura con uno spettacolo itinerante. In realtà andò poi in onda solamente una puntata, probabilmente per problemi organizzativi, ma quell'unica puntata fu qualcosa di unico e geniale.
Gli Stones volevano fare una sorta di sintesi dell'ambiente musicale della Londra del 1968, e per fare questo non solo chiamarono a raccolta alcuni dei migliori artisti del periodo, ma condirono il tutto con una scenografia un pò surreale, un pò grottesca, forse anche un pò pacchiana ma sicuramente divertente.
E così il Live Show si trasformò in uno spettacolo da circo, con tanto di veri giocolieri, nani, clown, trapezisti e fantasisti, in cui ognuno dei componenti dei Rolling Stones impersonificava in qualche modo una sorta di caricatura dei tipici artisti da circo. Su tutti, ovviamente, il presentatore-direttore Mick Jagger.
Grandi artisti per un grande evento
Credo che si possa sintetizzare il tutto con questa semplice frase. Certo, non tutto lo show è sempre perfetto, ma nel complesso ci sono grandi esibizioni, e gli intermezzi fra una canzone e l'altra con i giocolieri e tutto il resto sono anche divertenti, se non le valutiamo con l'estetica moderna.
Il primo gruppo a scendere in campo sono i Jethro Tull di Ian Anderson, che proprio nel 1968 esordivano con l'ottimo This Was, un album con forti sonorità blues in cui la vena folk rock degli album successivi non è particolarmente accentuata.
E infatti il brano che portano è un blues un pò atipico, con il sempre presente flauto che regna sovrano, ma che ha una grande carica e che non a caso è uno dei pezzi trascinanti di This Was: Song for Jeffrey.
Le sonorità non sono ancora quelle di Aqualung, ma la presenza scenica si. Anderson impersonifica già il suo tipico personaggio da menestrello-vagabondo, con un lungo soprabito sgualcito, mentre il resto del gruppo incarna il tipico stile flower power.
Subito dopo ecco uno dei miei gruppi preferiti in senso assoluto: The Who. La potenza, la velocità e l'aggressività che questi quattro teppisti londinesi riuscivano a tirare fuori dalle loro esibizioni da vivo non credo che abbia molti termini di paragone, neppure gli stessi Rolling Stones per certi versi reggono il confronto.
E l'esibizione di A quick One (while he's away) ne è una prova difficilmente confutabile. La batteria selvaggia di Keith Moon e il basso potente e trascinante di John Entwistle fanno venire voglia di spaccare tutto insieme a loro, in un impeto di rabbia pura quando sul finale tutti gli strumenti fanno la fine tipica ad un concerto di Thownsend e soci.
Spendida l'esibizione di Taj Mahal, grande bluesman poco conosciuto ai più, un pò snobbato dai puristi del blues per le sue contaminazioni con altri generi. La sua Ain't that a lot of love è trascinante, semplice e suonanta col cuore. Come ogni blues dovrebbe essere!
Non mi soffermo molto sull'esibizione di Marianne Faithfull, che canta una bella ballad ma che spezza un pò il ritmo frenetico tenuto fino a quel momento.
Subito dopo la sua esibizione c'è un simpatico siparietto fra Mick Jagger e John Lennon che introduce i Dirty Mac, una sorta di super-gruppo creato apposta per lo show.
Abbiamo Mitch Mitchell (Jimi Hendrix Experience) alla batteria, un giovane e già fantastico Eric Clapton (che ancora militava nei Cream) alla chitarra e Keith Richards al basso, oltre ovviamente a John Lennon alla voce e alla chitarra ritmica. Il brano che portano è, direttamente dal White Album, una Yer Blues molto più blues della versione originale.
Finita questa esibizione c'è il momento forse più basso dello show, in cui Lennon invita Yoko Ono e un violinista, di cui ignoro il nome, a salire sul palco per fare un blues.... decisamente imbarazzante. Preferisco sorvolare.
"And now...."
Finalmente, sulle note del mitico riff di Jumpin' Jack Flash inizia l'esibizione dei Rolling Stones. Essendo in qualche modo i padroni di casa la loro è l'esibizione più lunga, in cui si susseguono con un ritmo serrato alcuni dei migliori brani del gruppo.
Si vede che la dimensione live è quella preferita da Jagger e compagni, si capisce già con Jumpin' Jack Flash, e le seguenti esibizioni sono tutte frenetiche e dure.
Da Parachute Woman a No Expectation, passando per una stupenda You Can't Always Get What You Want fino ad una versione di Symphathy for the Devil che è seconda solo a quella mitica del famoso concerto gratuito del festival di Altamont. Chiude il tutto un'ottima Salt of the Earth.
Tutta l'esibizione è a dir poco perfetta, con Jagger che fa il suo show dimostrando di essere un vero animale da palcoscenico, che esprime cattiveria e sensualità ad ogni movimento del corpo.
La chitarra di Keth Richard è esattamente quello che deve essere: scarna, essenziale, acida e con un suono così cattivo che mi viene difficile ogni volta credere che siamo nel '68. Una sezione ritmica perfetta che sostiene al meglio tutto quanto. Ma in fondo stiamo parlando della più grande Rock and Roll band del mondo, potrebbe essere altrimenti?
In conclusione
Un DVD bellissimo, con un ottimo menù per la navigazione con accesso diretto alle scene, vari commenti e qualche "dietro le quinte" e due pezzi in più di Taj Mahal che fanno venire voglia di andarsi a cercare la sua discografia. L'unico appunto che si può fare è che purtroppo non ci sono i sottotitolo in italiano ma solo in Inglese, Francese, Spagnolo, Tedesco e Portoghese (no, cioè... dico... PORTOGHESE! Che ci voleva a metterli pure in italiano?).
P.S. E' la mia prima recensione... spero vi sia piaciuta...
blueslover
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