Decima puntata della rubrica che vede Daniele Bazzani e Giovanni Onofri parlare delle...
Il “rito” dell’aprire il vinile ed ascoltarlo nascondeva alcune caratteristiche meno evidenti ma anche più importanti:
Come tutto questo abbia formato la mia vita da musicista, cerco di spiegarlo di seguito.
All’inizio fu il mangianastri
Ricordo ancora la mia prima cassetta dei Beatles, “A Collection Of Oldies But Goldies”, ce l’ho ancora, prestata a mio padre da un amico e a lui mai restituita. Da allora fu un susseguirsi di uscite (nel corso degli anni, ero piccolo) con i miei genitori, si andava in un negozio che avesse vinili e nastri e si sceglieva “la prossima”, quella che avrei ascoltato e mi avrebbe accompagnato per diverso tempo, alla fine le comprai tutte. Non capivo come mai alcune canzoni fossero su più dischi, il concetto di “Greatest Hits” non mi era ancora chiaro. “The Night Before” cantata da Paul è per me ancora legata a “La Carica dei 101”, non mi chiedete perché.
Comunque è in quel modo che è iniziato tutto, la singola cassetta veniva da me divorata, ogni singola nota cantata o suonata, ogni passaggio, la sequenza delle canzoni, tutto memorizzato. Addirittura riuscivo a cantare in tonalità il brano successivo prima che iniziasse, senza rendermene conto avevo sviluppato l’orecchio relativo.
Negli anni questo si è trasformato nel mio lavoro, ma il principio è rimasto invariato: il singolo vinile aveva (e ha tuttora) un valore unico, non esisteva la sovraesposizione musicale odierna, ci si dedicava ad una sola cosa per volta, e credo che ne abbia beneficiato la mia professione. L’ossessione per il singolo passaggio da comprendere, il riff, la canzone e la sua struttura, il disco completo che aveva un senso maggiore della somma dei brani, tutto questo è nascosto agli occhi dei più.
Se i ragazzi oggi hanno a disposizione milioni di video gratis, canzoni facilmente scaricabili senza pagarle, metodi didattici di ogni tipo, hanno sicuramente molta materia cui attingere. Ma non è detto sia meglio.
Io il singolo passaggio me lo dovevo tirar giù dal disco, nessuno mi diceva come fosse suonato e non si poteva vederlo, a meno che l’artista non venisse a suonare in città. Cosa quantomeno improbabile, soprattutto per quelli morti da tempo.
Ho imparato a riconoscere la differenza fra una nota suonata e una legata, fra uno slide e un bending, fra i diversi suoni delle stesse note su corde differenti. E ho soprattutto educato l’orecchio a riconoscere la somma di tutto ciò, affinandolo per il futuro. Un po’ quello che succede quando ascoltiamo qualcuno che parla, solo che lo facciamo da bambini e poi ci insegnano la grammatica, ma questo riguarda il linguaggio musicale, ne parleremo in altra sede.
Il disco è un’opera, e in quanto tale va rispettato: lo si dovrebbe ascoltare tante volte prima di dare un giudizio, le cose che ci piacciono meno al primo ascolto a volte ci restano dentro per tutta la vita, se sono più complesse hanno bisogno di più tempo per essere metabolizzate, oggi ascoltiamo 200 mp3 al secondo, quel tipo di fruizione non è più possibile, chissà quanta musica straordinaria perdiamo per strada. Quando si ascolta il lavoro di un artista bisogna saperlo capire, collocarlo cronologicamente, dedicarcisi per un po’ ed entrare nel suo mondo, meglio ancora se all’ascolto di un album si fa seguire quello di altri dello stesso gruppo o musicista.
Il discorso si allarga a macchia d’olio ed è difficile restare in tema, spero di aver chiarito cosa penso al riguardo: avere mille dischi “virtuali” sul proprio Pc non ci fa automaticamente fruire di essi, ne perdiamo il senso, li mischiamo in un gran calderone da cui, di solito, non esce molto di buono. Si deve dedicare la giusta attenzione alle cose importanti, il fatto che tanti considerino legittimo scaricare illegalmente musica è solo la prima, pericolosa, squallida conseguenza dell’era digitale.
Come dice il proverbio? Meglio pochi, ma buoni.
Daniele Bazzani
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