Decima puntata della rubrica che vede Daniele Bazzani e Giovanni Onofri parlare delle...
Sarebbe facile e comodo liquidare il primo album dei Beatles, Please, Please Me con due righe buttate lì, pensando già a cosa scrivere fra qualche tempo di capolavori come Revolver o Abbey Road, ma commetteremmo un errore colossale. In questo primo, fresco, genuino lavoro, c’è già tutta l’incredibile storia futura della band.
Viene fuori che, a saper leggere fra le righe, aiutati dal mezzo secolo che ci separa da quell’esordio, chi ben comincia, è a metà dell’opera. Ma andiamo per ordine.
Tutto inizia il fatidico 5 Ottobre del 1962, con l’uscita del primo singolo e con la volontà dei ragazzi di suonare un brano a loro più congeniale della già citata “How Do You Do It” che Martin avrebbe preferito, ma John, Paul e gli altri dissero di avere una reputazione da difendere a Liverpool e non avevano nessuna intenzione di rovinarsela. Ecco perché la scelta cadde su pezzo che innanzitutto era loro, e poi aveva una vena vagamente blues che lo rendeva unico.
Non possiamo dire se sia un pezzo country, pop, folk o chissà cosa, di sicuro sappiamo che era un brano particolare, con la tonalità difficile da definire, appena ci sembra di essere in Do, ecco che arriva il Re maggiore a farci capire che siamo in Sol. O forse no, poco importa.
Resta il fatto che il brano è arrangiato in maniera essenziale: basso, batteria e chitarra acustica, con battito di mani e armonica di John a completare il tutto. E il ritornello è cantato da Paul proprio perché John doveva suonare l’armonica, altrimenti lo avrebbe cantato lui.
Come semplice è il retro di quel 45 giri: “P.S. I Love You” è una canzoncina senza troppe pretese, scritta bene e in maniera lineare, ma il guizzo di Paul che a 1.28 del brano anticipa “Remember that I’ll always” con una “You know I want you to” quasi gridata, fa intuire ben altro background musicale che quello pop, a chi un minimo abbia conoscenza della musica nera e del rock’n’roll. Non sono uscite da cantante confidenziale.
Da questo punto e per un lungo anno, iniziando le considerazioni sul lavoro dei quattro, chitarristico e non, vorremmo subito fare una precisazione, dovuta perché sappiamo che il seguito dei Beatles è quanto mai vario e attento a tutto ciò che si scrive:
su queste pagine non troverete una dettagliata trascrizione delle parti suonate nota per nota e neanche una meticolosa analisi di ciò che successe; per questo ci sono libri di centinaia di pagine di spartiti o (per le note di studio) lo straordinario “Otto anni ad Abbey Road” di Mark Lewisohn, testi che sono dei veri tesori per tutti noi. Il nostro è un contributo di sensazioni e analisi di elementi sparsi, altrimenti invece che 12 puntate ce ne volevano 1200.
In esclusiva per Laster
Bisogna notare come il primo LP sia un disco che rispecchia la band di quegli anni, quattro musicisti abituati a suonare ogni notte anche otto ore di fila su palchi come quello dello “Star Club” di Amburgo: i loro spettacoli dovevano intrattenere marinai ubriachi piuttosto esigenti in quanto a divertimento, e la band aveva imparato la lezione, se è vero (come è vero) che registrò dieci brani in un solo giorno! Non erano ragazzotti di provincia senza esperienza e già scrivevano musica propria, fatto anche questo singolare per i gruppi dell’epoca, che di solito suonavano brani di altri.
Difficile spendere troppe parole per il lavoro di George Harrison sul disco, visto che i suoi sono abbellimenti e piccoli riff che colorano le canzoni, e qualche episodio solistico come su “I Saw Her Standing There”: l’assolo è basato in gran parte sulla pentatonica blues e dimostra come Harrison fosse già attento a “costruire” qualcosa mentre suonava, non si limitava alla ripetizione a pappagallo di qualche frase sentita da altri; se si considera che ancora doveva compiere vent’anni e si era all’inizio dei ’60, la sua personalità usciva già in maniera precisa, è una caratteristica che si è portato dietro negli anni, i suoi interventi erano sempre parte integrante della canzone.
Sulle 12 take del brano si ascolta sempre un solo diverso, quindi era improvvisato. Per non dire poi della sua tecnica già allora: guardando i video delle esecuzioni dal vivo di “Please, Please Me”, quelli in cui lui esegue il riff che era dell’armonica di John, lo si vede suonare delle ottave con tecnica ibrida, il plettro suona la nota più bassa e una delle altre dita (medio o anulare) quella più alta.
La sua Gretsch Duo Jet, che poi cambiò con altre come la Country Gentleman o la 6119 Tennessean, dimostrava una precisa ricerca timbrica: il “twang” tipico di questi strumenti non è ottenibile con altri, e divenne un marchio di fabbrica del suono dei Beatles.
Come inconfondibile era la Rickenbacker 325 Capri di John, strumento dal sound caratteristico che si ascolta per anni, da Amburgo all’Ed Sullivan Show, su tutti i primi dischi e concerti almeno fino al 1964. Sul primo album il suo lavoro è prettamente ritmico, benché fondamentale, e analizzare la sua ritmica è davvero interessante.
E che dire del basso Hofner 500/1 mancino di Paul, immancabile nell’arsenale di qualsiasi fan che si rispetti? I Beatles sono legati ai loro strumenti, nell’immaginario collettivo, forse più di qualsiasi altra band al mondo, e ricordiamoci che parliamo di chitarre!
È anche importante soffermarsi sulla varietà di stili compositivi già presenti: ogni canzone è diversa dall’altra, ci sono in embrione alcuni tratti distintivi che segneranno la storia della musica. In particolare “I Saw Her Standing There” si fa notare come uno dei primi rock’n’roll in forma canzone, non più il solo giro di blues ma una vera e propria struttura, in questo Paul McCartney era un maestro, come dimostrò anni dopo con “Back In The USSR”.
(leggete il resto su Fingerpicking.net)
I pensieri di Winston
di Davide Canazza
I Beatles degli esordi appartengono a un'epoca di transizione chitarristica: tra loro non c'è ancora il "guitar hero", figura che sarà introdotta qualche anno dopo dalla comparsa sulla scena di personaggi come Eric Clapton, Jeff Beck, Jimmy Page e Jimi Hendrix.
Ma sono un gruppo con le chitarre, anzi con due chitarre!
Meglio ancora, erano un gruppo formato da tre chitarristi e un batterista. Paul McCartney fu praticamente obbligato a passare al basso quando Stuart Sutcliffe, giovane pittore amico di John prestato al basso, abbandonò la band per dedicarsi alla carriera artistica.
Harrison era troppo bravo per cambiare strumento, Lennon era il leader e inoltre aveva una chitarra nuova di zecca, la Rickenbacker 325 "Capri" a scala corta.
Non rimaneva che Paul, l'unico dei tre che aveva una chitarra tutta scassata con tre sole corde, tanto che dal vivo doveva utilizzare la vecchia Hofner Club 40 di John o suonare il piano i quei locali dove ce n'era uno.
Tuttavia anche McCartney era un bravo chitarrista, forse il più blues-oriented dei tre. Ma il sound deciso e potente della band scaturiva dall'abilissima sezione ritmica, un amalgama plasmato dalle interminabili esibizioni dal vivo nei locali di Amburgo.
Pete Best era un bravo batterista, sostituito dall'altrettanto valido Ringo più per motivi di carattere e immagine che per il modo di suonare sui tamburi. Ringo era un compagnone, amico degli altri tre da anni. Pete era introverso, schivo e taciturno e non frequentava John, George e Paul fuori dal lavoro. In più era anche molto affascinante e avrebbe "oscurato" i front men della band.
Paul, una volta passato al basso, apportò fin da subito la sua esperienza di chitarrista sul nuovo strumento: il suo modo di suonare era innovativo, con passaggi melodici a rafforzare lo scarno accompagnamento ritmico del basso, che manteneva comunque quel sound pulsante e presente della musica beat.
Ma il lavoro più interessante del primo periodo è quello fatto da Lennon con la chitarra ritmica, ed è su questo che ci vogliamo soffermare. John aveva imparato gli accordi sul banjo e quindi aveva trasportato le forme sulla chitarra. Non utilizzava quasi mai il barré e adoperava il pollice per suonare i bassi, aiutato anche dalle ridotte dimensioni della tastiera della Rickenbacker.
La particolarità del suo sound veniva però dal modo di usare la mano destra. Il suo strumming era pesante, duro, spesso sincopato. Difficilmente plettrava tutte e sei le corde, ma si concentrava su quelle centrali alternando la pennata sui bassi.
In esclusiva per Laster
I due video analizzano lo strumming di Lennon in due canzoni del primo album Please Please Me: “I Saw Her Standing There” e “Boys”.
Il primo pezzo l'ho inserito poiché sul web (e anche nelle edizioni a stampa) le versioni che si trovano hanno un accordo sbagliato: viene indicato un DO (o DO7) laddove le chitarre fanno in realtà un LA minore. Ciò si deduce non solo dall'ascolto, ma anche dalla visione dei numerosi filmati esistenti.
Interessante è l'alternare i bassi all'accordo e l'utilizzo dell'accordo di MI7 al V° tasto per essere già pronti al LA senza spostarsi (pigrizia lennoniana?). Da notare l'accompagnamento "a la Chuck Berry" nel middle eight, altro marchio di fabbrica dei primi Beatles.
“Boys” è una cover, un pezzo originariamente R&B riarrangiato dai Beatles in versione rock'n'roll. Anche qui, nella strofa, lo stile di Lennon è preso da Chuck Berry. Nel ritornello raddoppia la linea del basso.
Buon ascolto!
(leggete il resto su Fingerpicking.net)
I Più Letti
Line6 STAGEScape M20d
Line6 è nota per le sue soluzioni innovative ed "anticonvenzionali" in un...
Line6 M5
Line6 M5 è la sorella minore della famiglia di pedaliere multieffetto della...
iKEY-Audio G3
Eccoci qui a recensire uno dei tanti registratori portatili che sono in...
ARIA
Proseguo nel mio tentativo di descrivere curiosità , stranezze e rarità in...
Gary Moore - Sangue d'Irlanda, una canzone Blue
"Sofferenza maestra di vita" è stato detto e scritto da molti, e questa un'...