Decima puntata della rubrica che vede Daniele Bazzani e Giovanni Onofri parlare delle...
Dopo i primi momenti di dubbio, ecco arrivare le smentite della band circa una possibile crisi e separazione. Il frontman afferma che non c'è alcuna tensione all'interno della Band, che semplicemente non se la sente di rimanere fermo per troppo tempo e che il disco è basato sugli scarti dei vari dischi del gruppo.
Alla registrazione infatti partecipano anche Greenwood e il produttore storico Nigel Goodrich. La reazione della critica e del pubblico sono per la maggioranza positive.
Aprendo una parentesi sul disco, da molte parti si è detto che proprio da qui si realizza la grandezza dei Radiohead come gruppo di musicisti: The Eraser suona decisamente come un'opera di Yorke, come scrive Ondarock: "gradevole, sicuramente non innovativo, ma ispirato, sentito e personale (o meglio 'suo')" indicando che, all'interno della band, non c'è una direzione unica e dittatoriale, ma uno scambio continuo di esperienze e impressioni.
Intanto la band è impegnata nel tour prova del nuovo materiale: a maggio in Europa, poi Stati Uniti e ad agosto saltando da un festival europeo all'altro. Ovviamente ci sono tanti pezzi nuovi, suonati in versioni diverse ed accolti positivamente. Finito il tour sembra imminente l'uscita del disco. Invece silenzio totale.
Aggiornamenti ai fan arrivano da Internet, canale preferito ormai dalla band, e in particolare dal sito ufficiale e dal Blog di Plank, diario tenuto dall'ormai storico tecnico delle chitarre del gruppo. Tante notizie, foto, post, ma nella sostanza niente di particolare. A marzo 2007 finalmente un "ci siamo quasi" da parte di Ed O'Brien e il cambio di grafica del sito, che da sempre aveva accompagnato gli album nuovi.
Ad inizio Ottobre 2007 arriva la sorpresa: l'album, intitolato In Rainbows, sarebbe uscito il 10 ottobre 2007 in due formati: un cofanetto contenente 2 CD e 2 vinili, al costo di 40 sterline, e un download da internet ad offerta libera. Il prezzo, come scritto dalla band, "It's up to you".
Per un gruppo importante come il quintetto inglese la scelta era innovativa e decisamente attenta al pubblico. Ad aggiungere interesse agli sviluppi ci si mise l'interruzione dei rapporti con l'etichetta storica del gruppo, la EMI, causati da un cambio radicale di management e di politica direttiva.
L'innovativo modo con cui In Rainbows uscì portò poi enormi influssi benefici dal punto di vista commerciale: il disco venne rilasciato sotto forma di CD a dicembre con la XL Recording per l'Europa e negli USA con la TBD Records. Oltre oceano i cinque Oxoniensi vendettero a livelli paragonabili alle uscite di Kid A.
In Rainbows
Se si vuole usare una parola per descrivere In Rainbows, la più adatta è maturità.
Se Hail To The Thief era sì un'analisi di quanto fatto precedentemente un po' raffazzonata, l'ultima fatica del quintetto di Oxford è decisamente a fuoco.
La fanzine Ondarock ha anche usato l'aggettivo morbido ed è una espressione decisamente azzeccata: mi sono sempre visualizzato l'ascolto di questo disco seduto sul divano di casa, immerso nella ovattata tranquillità casalinga, magari in una serata autunnale e fresca, il tutto accompagnato da un the caldo.
E' un disco corto, il più corto della loro carriera ad eccezione del debutto Pablo Honey, che si ascolta tutto di un fiato, che non ha momenti vuoti o inutili. Sembra perfetto se inserito nel formato vinile, con i suoi 10 pezzi ben divisi sui due lati.
Il suo pregio fondamentale è l'arrangiamento divino. Riprendendo un concetto espresso più su: se The Bends è stato grandi canzoni e Ok Computer è stato grandi canzoni e grandi suoni, In Rainbows è anche grandi arrangiamenti.
Non un suono fuori posto, anzi, non un suono di troppo, una essenzialità che arriva quasi alla perfezione in parecchi casi. Parlando dei suoni stessi, pure se molti sono elettronici, non hanno l'aggressività dei vari episodi dei dischi precedenti, ma mantengono una morbidezza (appunto) e un calore di solito estranei alla tavolozza dei Radiohead.
Il gruppo qui conclude il percorso iniziato con Kid A: si suona solo se necessario, si partecipa alla composizione e alla registrazione anche solo apportando idee. Altro pregio del disco è la scrittura di Thom Yorke: molto meno confusa e criptica dei precedenti dischi, ritorna al fascino di molti degli episodi di Ok Computer pur senza perdere in profondità.
La Track List
L'inizio dell'ultima fatica del quintetto Oxoniense è fulminante: il loop energico e ritmato di batteria elettronica di 15 Step, presto supportato dalla rediviva batteria acustica e da un arpeggio di Greenwood, viene arricchito da un giro di basso ispirato a quello on-off di Airbag e può contare su un testo che ricorda, ma senza troppa inquietudine, che la nostra ora arriverà. Bellissimo l'Ondet Martenot che taglia a metà il pezzo durante il ponte.
La seguente Bodysnatchers è una piccola cavalcata chitarristica a base di fuzz e suoni saturi. Le tre chitarre, in pieno stile Radiohead, si intrecciano e armonizzano per tutto il pezzo, senza mai strabordare o coprire. Bello l'E-Bow sul break, segno della passione sempre più avanzata di Ed O'Brien per i sustainer di vario tipo (nel suo arsenale compare anche una Fernandes Native Pro, dotata di Sustainer, che sfoggia sempre più spesso dal vivo).
Il testo prende ispirazione da Tottenham House, una casa di campagna nel Wiltshire in cui il gruppo aveva registrato durante la lavorazione del disco. La villa in questione, spettrale, sembra dar origine alla storia di sedute spiritiche del testo come metafora del controllo mediatico.
Pezzo decisamente riuscito, ottima intro per la bellezza scintillante, calda e pura della successiva Nude. Una ballata dolce, scritta ai tempi di Ok Computer, batteria e basso essenziali e portanti, chitarre perfette e un testo che parla dell'umana disillusione e del disincanto, dell'inevitabile differenza tra realtà e sogno. Emozionanti e bellissimi i falsetti, una nuova pietra miliare della discografia dei Radiohead.
Il livello si mantiene alto anche con Weird Fishes/Arpeggi. Una calvalcata chitarristica, questa volta pulita, basata su una crepuscolare sequenza di accordi tutti arpeggiati. Le tre chitarre si intrecciano si ispessiscono fino allo stacco, supportato dal Sustainer di O'Brien e dai loop di Greenwood, e da una sezione ritmica precisa e solida.
Avvolgente e coinvolgente, il testo richiama il mondo delle sirene nascondendo una storia di fuga e (insolitamente) di sopravvivenza. Con Weird Fishes si chiude un quartetto che imprime una chiara idea della direzione del disco e, soprattutto, della qualità messa in mostra dal quintetto di Oxford. Siamo decisamente ai livelli dei pezzi iniziali di OK Computer.
Le atmosfere crepuscolari non vengono messe da parte: All I Need parte leggera su un organo a pedale e una batteria sussurrata, canta dell'attaccamento alla persona amata come pilastro (debole a volte) e si sviluppa tra synth e voci riverberate. Bello il Rhodes usato alla stregua di basso e presto doppiato dal Glockenspiel di Johnny Greenwood.
Il pezzo poi esplode sui piatti della batteria e sfuma leggero, collegandosi all'ancora più leggero pezzo successivo. Due chitarre acustiche e un ottetto d'archi restituiscono un'atmosfera bucolica e decisamente insolita per i cinque inglesi. Quasi spensierato, il testo di Faust Arp non annovera patti con il diavolo o ricerche spirituali: sembra il proseguo di Climbing Up The Walls, con immagini casalinghe che si risolvono nella consapevolezza della fine di una storia. Di difficile interpretazione ma dotata di un appeal dolce a acustico che rilassa e allontana il solito pessimismo sonoro a cui ci hanno abituato i cinque di Oxford.
Si continua con Reckoner in un intro basato su piatti e tamburelli baschi, che s'incastrano perfettamente nell'arrangiamento. Piccolo inciso da fare: c'è da dire che mai i piatti della batteria, sia in mixaggio che nella scrittura dei pezzi, sono stati così piacevolmente messi in evidenza.
Altro punto a favore dello sviluppo sonoro. Nella canzone di cui stiamo parlando l'atmosfera non si discosta molto dalla precedente Faust Arp: sempre serena e non scura, si sviluppa su un arpeggio morbido e medioso, si completa grazie all'ottetto d'archi e al falsetto incantato di Yorke e incrocia citazioni bibliche con giochi di parole inglesi per dedicare una canzone al giudizio universale.
Apriamo un'altra parentesi. In In Rainbows il tema della morte torna più e più volte e non è mai stato così definito nelle liriche dei cinque inglesi. Il vero sviluppo sembra essere nel tono affrontato: rilassato ma mai rassegnato, realista ma mai negativo. Altro segno di maturità musicale e letteraria.
A seguire uno dei capolavori di questo disco: House Of Cards si traveste da bossa nova, appoggiata su accordi saturi e scarni e accompagnata dai colpi delicati di Selway. Una canzone d'amore in chiaro, rarissima nel repertorio dei cinque. Colpo di genio di Greenwood che arricchisce l'arrangiamento perfetto: quelli che sembrano archi sono in realtà armonici artificiali e naturali creati accarezzando le corde con una monetina, e ampliati a dismisura dallo Space Echo e dal riverbero. Il cantato di Yorke sembra far dimenticare tutte le volte in cui è stato definito lamentoso. Splendida, da incorniciare.
Curioso il pezzo successivo: Jigsaw Falling Into Place racconta la storia di una serata storta e si fa notare per il cantato ipnotico e per l'utilizzo del falsetto. Anche qui gli intrecci di chitarre classici dei Radiohead si fanno sentire per bene, anche se stavolta non sono le distorsioni a farla da padrone.
Molto belli gli interventi degli archi e i cori, che danno ancora più valore a un pezzo già di per sé trascinante. Il disco ufficiale si conclude con un pezzo quasi funerario, sia come testo che come musiche. Videotape è formato da un lungo susseguirsi di accordi discendenti di piano, un loop ante litteram. Qualche accenno di batteria elettronica, che poi si avvolge su se stessa come in un feedback loop, e un Clavia Synth completano un altro pezzo a base di citazioni bibliche e immagini moderne sui ricordi lasciati dopo la dipartita.
LP Bonus
Non si potrebbe parlare di In Rainbows senza parlare dell'LP Bonus uscito nell'edizione limitata. L'inizio con Mk I è poco più che un intro in cui il Kaoss Pad di Johnny taglia e comprime un frammento di Videotape, quasi fosse un ponte tra le due sponde dello stesso fiume.
Down Is The New Up è un pezzo a base di piano, tagliato a metà da un riff interessante e dotato di una inusuale progressione di accordi che si apre sul ritornello e si chiude sul falsetto malato di Thom Yorke. Il testo sembra essere la descrizione di una bella serata, ma si rivela poi essere un scherzo crudele da candid camera.
Go Slowly è una ballata semplicissima e con un testo dalla semplicità disarmante, di bellissima atmosfera.
Così come MK I era un intro, la sorella Mk II è uno strumentale suonato con il Mellotron, che fa da intro alla delicata ed acustica Last Flowers: una ballata dallo stile classico e dal tono minore dotata di una bella apertura maggiore sul ritornello.
Up In The Ladder è una base elettronica di chitarre in oscillazione e un testo dai richiami fantascientifici sul tema caro a Yorke dell'omologazione. Bangers And Mash è un divertissement a due batterie acustiche dall'atmosfera steam punk, tutto sommato godibile.
Decisamente meglio 4 Minutes Warning un jazz che si ispira ai 4 minuti che, durante la Guerra Fredda, sarebbero dovuti intercorre tra il rilevamento dei missili a testata nucleare sovietici e l'apocalisse nucleare sul suolo britannico. Quasi scherzoso il tono, considerando l'argomento claustrofobico.
Tour mondiale e progetti paralleli
In Rainbows ha come seguito un tour durato praticamente un anno e mezzo. Dopo il riscaldamento con un paio di date a Londra, ha toccato Europa, poi Stati Uniti e Canada e infine il Giappone, per poi concludersi nel 2009 con Sud America e una manciata di date nei festival estivi Europei.
Da metà del 2009 i cinque inglesi sono ritornati in studio, interrompendo i lavori con qualche comparsata benefica (per il terremoto ad Haiti a gennaio di quest'anno e con il singolo) e con uscite soliste, in particolare del batterista Phil Selway, che ha debuttato con il suo album solista nell'agosto del 2010.
Altro progetto estemporaneo quello creato da Yorke con l'ormai scontato Nigel Godrich e il bassista dei Red Hot Chili Peppers Flea: gli Atoms For Peace hanno suonato una decina di date nell'estate del 2010 attingendo sia dal disco solista di Yorke, sia da varie B-Sides dei Radiohead.
Sono usciti anche un paio di singoli scaricabili solamente da Internet: Harry Patch (In memory of) dedicato a scopo benefico all'ultimo veterano inglese della prima guerra mondiale, e In My Twisted Words. In varie interviste i cinque inglesi hanno lasciato intendere che il 2011 potrebbe essere l'anno buono per l'uscita. Non resta che attendere quali sorprese ci stanno riservando i Radiohead.
Considerazioni finali
Finale di partita, o di primo tempo, se si vuole.
Ci sono artisti che vengono considerati seminali. Non credo che i Radiohead siano di questa categoria. A ben vedere e considerando il loro ambiente artistico non hanno mai fatto uscire dischi o singoli che potessero fregiarsi del mai totalmente sentito.
Credo anche che esistano musicisti che facciano da ponte tra gli artisti seminali e il grande pubblico: bene, i Radiohead rientrano in questa importantissima categoria.
Sono riusciti nell'intento di contaminare un pop-rock di altissima fattura con le avanguardie elettroniche e classiche senza rinunciare a un songwriting intenso e profondo. E credo l'abbiano fatto meglio dell'accoppiata U2 / Brian Eno con solo cinque anni di scarto.
La combinazione degli studi Umanistici di Yorke, Selway e Colin Greenwood con il genio musicale di Johnny Greenwood e le capacità effettistiche di Ed O'Brien ha creato un cocktail iperattivo di esperienze, ascolti, reminiscenze, riferimenti e influenze che garantisce una produzione mai scontata. Come ho detto prima, un compendio del rock, inteso a tutto campo, tra gli anni '90 e gli anni 2000.
Non si può dire se il gruppo si brucerà, come varie star mondiali, in una (troppo spesso) ipocrita beneficenza oppure se rimarranno sui loro atteggiamenti cauti e criptici, fortunatamente sempre al riparo dai pettegolezzi e dalle cronache mondane. In ogni caso, mi sembra giusto riconoscere ai Radiohead un posto tra gli artisti più importanti degli ultimi vent'anni.
Ringraziamenti e fonti
Primo: ringrazio i redattori per la cortesia e l'immane lavoro di editing e aggiustamento di tutto. Un grazie grande come una casa e anche di più!
Elenco qui sotto le fonti principali di cui mi sono servito. Elencarle tutte è inutile e impossibile, con una buona ricerca Wikipedia si può tranquillamente risalire a ogni singola intervista.
Libri:
Siti:
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