Radiohead - Prima parte

Scritto da FerroFe il 01/Feb/2011 alle 02:55

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Essi sono mille cose nello stesso momento. Sono rock, sono pop, sono innovativi, sono retro'. In un certo senso si può affermare che quanto prodotto da questo gruppo inglese è un buon compendio delle musica pop rock dei giorni nostri. Forse nessuno dei giornalisti musicali anni '90 avrebbe predetto quello che questi cinque ragazzi dell'Oxfordshire sarebbero diventati: schiacciati tra il movimento grunge da una parte dell'oceano, quello britpop dall'altra, non avrebbero mai immaginato che il fenomeno Radiohead avrebbe dato una chiave di lettura dell'incasinatissimo periodo a cavallo tra i due millenni.

Pablo Honey

Facciamo un passo indietro però. Se abbiamo detto che i Radiohead sono tutto, lo stesso non si può assolutamente dire del loro primo disco. "Pablo Honey" esce nel febbraio del 1993. Era stato preceduto da un EP, "Drill", e da un singolo che, uscito in Inghilterra, passò quasi inosservato: Creep.

La band aveva firmato con la Parlophone (controllata dalla EMI) alla fine del '91 e aveva girato per il Regno Unito per tutto il '92, come supporto delle due uscite. Ma le cose non andavano molto bene. Il loro stile, che già conteneva piccoli accenni delle tematiche sviluppate negli anni successivi, era troppo oscuro, depresso, schizofrenico per la media del mercato inglese.

Poi, come per tutti gli artisti su questo mondo, il colpo di fortuna. Il singolo contenente “Creep” arriva anche nella "lontana" Israele. Un mercato piccolo, con poche radio di cui solo due "alternative". Qui diventa famoso, i cinque di Oxford vengono chiamati per un mini tour. Nel giro di un mese lo stesso succederà in Scandinavia, Spagna e Nuova Zelanda.

Ma il colpo grosso lo fanno nell'autunno del '92: grazie al passaparola di un paio di appassionati di musica inglese, Creep viene fatta girare per il circuito delle radio universitarie. La canzone diventa così famosa da convincere la EMI a far uscire il suddetto singolo anche negli USA: visti gli scarsi successi in patria, la casa discografica non aveva neanche preso in considerazione la cosa. Anche dall'altra parte dell'oceano iniziano a notare quel piccolo gruppo inglese: “Pablo Honey” raggiunge un buon successo commerciale per essere un esordio.

 

 

Abbiamo parlato di un disco abbastanza omogeneo: vista la data di uscita “Pablo Honey” è un buon disco di brit pop, che a ottimi singoli riesce ad accoppiare buone canzoni. La partenza con You, pur se musicalmente azzeccata grazie a parecchi tempi dispari e strofe irregolari (che poi diventeranno quasi un marchio di fabbrica del gruppo), risulta confusa nel testo, che sembra non parare da nessun parte pur essendo una apparente canzone d'amore.

Si fa notare però una buona interpretazione del cantante. Se la partenza non è esaltante, il secondo pezzo in scaletta è decisamente meglio: è proprio quella Creep che diede al gruppo un primo assaggio del successo e che successivamente creò non pochi problemi all'equilibrio tra i componenti del gruppo. Il pezzo è una semplice progressione di accordi, con un riff pulito bagnato da un tremolo, che esplode su un ritornello accompagnato da chitarre distorte, il tutto molto orecchiabile e coinvolgente.

La voce di Thom Yorke, a metà tra il disperato e l'ironico, dipinge la storia di un personaggio giudicato sfigato alle prese con un amore non ricambiato. Tra le cose riuscite ci sono anche Anyone Can Play Guitar, un pezzo rock dotato di un ritornello irresistibile e di un testo tra l'ironico e il serio sul sogno di formare una rock band. Curiosa l'introduzione, un cacofonico mix di chitarre suonate da tutti i presenti nello studio: rispettando il titolo del testo, suonarono perfino il cuoco e il proprietario dello studio.

 

 

Notevole anche il finale del disco: Blow Out, spesso utilizzata come finale dei concerti, è una cavalcata elettrica che sottolinea un testo in cui l'argomento è ancora la solitudine: il verso "...everything I touch turns to stone..." non lascia dubbi. Un'altra cavalcata che parte acustica e finisce in un muro di chitarre è Stop Whispering: due accordi pop arrangiati semplicemente ma in maniera efficace.

Il testo è una riflessione sull'agire quando tutto sembra andare storto. Buona anche la ballata acustica Thinking About You: un testo su una storia d'amore morbosa, con riferimenti alla masturbazione. Molto lavorato ma di buon impatto è How Do You, un pezzo quasi punk e molto tirato, con un intro in cui compaiono esplicitamente tutte e tre le chitarre: una tecnica molto d'effetto che raggiungerà il massimo nell'album successivo.

Le altre canzoni, pur se orecchiabili e godibili, tendono ad essere un po' anonime: Ripcord, una canzone sulle scelte fatte, non cattura molto l'attenzione.

Vegetable possiede un bell'appeal pop e un testo claustrofobico riguardante un'altra storia d'amore tormentata, è godibile ma non rimane impressa. Prove Yourself ha una bella melodia e stacchi acustico-elettrico interessanti, ma il testo è forse eccessivamente adolescenziale.

Lurgee ha il pregio di essere una tranquilla ballata con un testo decisamente inquietante: il ripetere quasi incessante delle parole da parte di Yorke crea un effetto strano, aumentato da una interpretazione decisamente espressiva.

I Can't è l'ennesima canzone su un rapporto tormentato, niente di particolare dal punto di vista musicale: forse Yorke in gioventù qualche problema con l'altro sesso deve avercelo avuto, vista l'abbondanza di testi su questo argomento! Anche se per fortuna questo filone si sarebbe esaurito presto.

Insomma se "Pablo Honey" è un buon disco di brit pop e un buon esordio, pochissimo lasciava presagire quello che sarebbe successo dopo: i semi della rivoluzione sonora degli anni seguenti si possono trovare nell'attacco di chitarra di “Creep”, nel piano "folle" sul finale di “How Do You”, e anche nell'intro schizzato di “Anyone Can Play Guitar”.

Al di là di questo ancora molte cose sono immature: argomenti a tratti scontati vengono salvati da stesure di testi e da immagini evocative, così come arrangiamenti a tratti ridondanti oscurano un po' scritture armoniche molto bene sviluppate. Gli stessi membri del gruppo, parlando anni dopo di questo album, si espressero così: "Su Pablo Honey ci sono tante cose sbagliate, ma ci è servito per crescere: avere già tutte le risposte sul primo disco non porta a nulla".

La critica del tempo, e in particolare quella inglese, bocciarono l'album e la band come un one hit wonder: la presenza e la popolarità di un pezzo come “Creep” è effettivamente molto ingombrante. Ma col senno di poi si trovano anche altre canzoni quantomeno interessanti, pure se non molto diverse come stile.

La bocciatura della critica, il tour prolungato di supporto (più al pezzo “Creep” che all'album in sé) e un pubblico più interessato al fenomeno che alla musica portarono già a una crisi profonda nel gruppo. A questo si aggiunse la decisione della EMI di ripubblicare il singolo “Creep” negli USA, con conseguente aumento di popolarità.

Per poco il gruppo non si sciolse, dando ragione ai detrattori della band. Tutto il '93 passo così, tra concerti e pressioni da parte della EMI per un nuovo disco che contenesse una nuova hit. In quelle condizioni i Radiohead non lavoravano bene: Yorke raccontò di passare giornate intere seduto tentando di scrivere qualcosa di "figo ed efficace". Un singolo anomalo venne fatto uscire a metà del '93, e già indicava il malessere della band: Pop Is Dead ha un testo caustico e una struttura musicale curiosa, ma di sicuro era lontano dall'immediatezza che la EMI avrebbe voluto per un nuovo hit.

My Iron Lung

In ogni caso il gruppo iniziò a lavorare al nuovo album all'inizio del '94. I pezzi nuovi erano presenti ma mancava lo spirito: le sessioni andarono così male che si decise di fare un altro tour asiatico per stemperare la tensione.

Nonostante buoni concerti come quello di maggio '94 all'Astoria di Londra e la presenza a giugno al festival di Glastounbury, sarebbe passato ancora parecchio prima di pubblicare nuova musica.

Sempre sotto le pressioni della casa discografica uscì l'EP "My Iron Lung": Oltre al pezzo omonimo erano presenti varie b-sides. La registrazione un po' più sciolta e rilassata di canzoni "minori" diede nuove energie ai cinque inglesi.

Infatti, pur contenendo pezzi un po' dimenticati (al di là della notevole title track), dava già una chiara indicazione di quello che sarebbe stato il disco successivo. My Iron Lung è stata definita come la reazione al successo di Creep.

La chitarra iniziale è geniale, non tanto nel riff quanto nella scelta di suoni, e di nuovo azzeccatissimo il contrasto, sia sonoro che armonico, tra la strofa e il ritornello. Il testo non lascia dubbi: "this this is our new song just like the last one a total waste of time, my iron lung". Insomma, Creep come falso polmone d'acciaio per una band con tanta voglia di crescere. Il responso commerciale dell'EP è superiore a quanto aspettato dal gruppo, facendo bene sperare per il disco imminente.

                   

The Bends

Finalmente nel marzo '95, dopo un tormentato lavoro in studio, esce "The Bends". Lo sviluppo sonoro dai tempi di "Pablo Honey" è evidente e lo stesso si può dire dei testi. Presenza evidente di tastiere, chitarre d'atmosfera, soluzioni effettistiche non scontate. Testi evocativi, spesso chiari anche se brevi e concisi, e una scrittura armonica coinvolgente. Parlare del migliore disco dei cinque è difficile, più che altro vista la varietà della loro produzione, ma sicuramente questo è l'album giusto per iniziare a scoprire il loro mondo sonoro.

La partenza è chiara: l'introduzione di Planet Telex è data da un delay mandato in oscillazione su cui entra tutta la band, su tutti un piano con un delay pesante. Meravigliosamente ampia e avvolgente la chitarra sul ritornello. Il pezzo sfuma così com'è incominciato, tra echi e riverberi.

A dispetto dell'ariosità delle musiche, il testo è un pugno nello stomaco: ricordati che tutto quello che vuoi non lo avrai mai. A seguire un pezzo che nasconde dietro una bella melodia una testo altrettanto tetro:

The Bends usa immagini moderne e inusuali per esprimere il senso di solitudine, chiedendo a gran voce "I wanna be part of the human race".

Anche qui si vedono i risultati delle tensioni scaturite dal successo di Creep. A continuare il buon inizio dell'album ci sono due bellissime ballate: High & Dry e Fake Plastic Trees, entrambi usciti poi come singoli.

La prima contiene un bel riff di chitarra acustica, un finale coinvolgente e un testo che racconta di due amanti ormai ex. La seconda è forse la migliore ballata di tutta la produzione dei Radiohead.

Partenza acustica e su accordi alterati, decollo deciso dopo il secondo ritornello, massima espressività vocale e un testo che è un'ottima riflessione sul consumismo. Un pezzo che raggiunge vette di emotività altissime. Piccola nota: la miglior versione dal vivo, più scarna ma incredibilmente compatta, è quella tratta dal live a Glanstounbury del 2003. Se volete capire cosa significa dinamica dell'esecuzione, guardatevi il video del live.

Queste prime quattro tracce sono un inizio incredibile, un segnale di crescita e forse anche qualcosa di più: qui il quintetto di Oxford colpisce dritto ed emoziona tanto. Il prosieguo del disco non tiene altrettanto alti i livelli emozionali, anche se non contiene passi falsi. Tra le cose meglio riuscite ci sono la già citata My Iron Lung, un pezzo prettamente acustico come (Nice Dream) e la splendida Bullet Proof... I wish I was.

La prima è basata su una serie di accordi sospesi veramente efficaci che accompagnano una melodia onirica e un cantato molto dolce. Da notare gli arrangiamenti di archi, assolutamente non invasivi, curati da Tom Yorke e dal chitarrista solista (ma non solo) Johnny Greenwood.

"Bullet Proof" è una ballata sommessa, basata su un giro di accordi di settima minore e maggiore, con un testo sul desiderio di non essere feriti dalle emozioni.

Curioso l'utilizzo delle due chitarre: Ed O'Brien e Greenwood hanno registrato le loro parti senza l'ascolto diretto della traccia, ma creando tappeti sonori atonali poi editati e mixati successivamente.

Di gran effetto in ogni caso. La conclusiva Street Spirit (Fade Out) è perfetta per la posizione in scaletta: non ha mai particolarmente attirato il sottoscritto, ma il lavoro di chitarre molto curato e l'atmosfera tetra e triste ne hanno fatto una hit del gruppo.

Anche qui l'emotività del cantato è a livelli altissimi, e il testo richiama immagini tra l'apocalittico e il depresso. Just era nata come una gara tra Thom e Johnny nell'infilare il maggior numero di accordi in una canzone: in effetti la varietà armonica è impressionante, quasi divertente a volte. Il testo, un po' fumoso a dire la verità, racconta di una ragazza e del suo farsi male da sola.

Da notare la parte finale dell'intermezzo, con un tremolo con settaggio insano e a seguire un Whammy che raggiunge frequenze altissime. Questo pezzo è stato usato come colonna sonora di una pubblicità di orologi, ed è abbastanza conosciuto anche per questo.

 

 

Lo stesso uso innovativo del tremolo è un punto a favore di Bones: sia nell'intro che nella strofa il continuo variare del rate crea un'atmosfera sospesa che si risolve su un ritornello gradevole, in cui si canta della durezza, a volte letterale a volte no, della vita. Per Black Star la particolarità è nella struttura giocata sui tempi dispari: per il resto non si discosta molto dagli episodi più felici di "Pablo Honey", con un testo sulle difficoltà della vita di coppia, anche se il giro di basso è molto ricercato, così come nel successivo Sulk.

Questo è un rock moderato in cui Yorke raggiunge note molto alte, senza utilizzare il falsetto che ne contraddistingue il cantato. Per il resto un testo sui tormenti interni di un ragazzo, ispirato dal gesto omicida di un giovane studente risalente all'87, quando i membri della band frequentavano l'università. Al di là di questi ultimi tre pezzi, che più che riusciti male definirei non epocali, il disco mantiene una eccellente omogeneità e si ascolta senza noia, cosa che invece può capitare al primo ascolto di "Pablo Honey".

Il quartetto iniziale di canzoni è uno dei migliori mai sentiti, e già questo fa guadagnare parecchi punti all'album. Per la prima volta volta dall'inizio della loro carriera i Radiohead ricevono buone recensioni da parte della critica, sia negli USA che nel Regno Unito.

Consci però della diversità dell'album rispetto al precedente e delle aspettative della casa discografica, non ritenevano possibile un successo commerciale simile al precedente "Pablo Honey".

Guardando il panorama musicale europeo è facile capire il perché: in piena ondata brit-pop, un album insolito come “The Bends” non poteva fare altro che soccombere ai ben più famosi Blur e Oasis.

Il primo singolo "High & Dry" non andò bene quanto i precedenti, un po' meglio fecero "Fake Plastic Trees" e "Just", ma stiamo sempre parlando di numeri minori rispetto alle vendite stellari di "Creep". Almeno il lato positivo c'era: sempre bistrattati a casa loro, iniziarono a crearsi una base di fan.

Il tour li portò in giro per il mondo, Estremo Oriente, Europa e USA. Ma la vera svolta, nel periodo tra il '95 e il '96, arrivò inaspettata. I cinque di Oxford vennero chiamati dai R.E.M come gruppo di supporto al tour americano ed europeo: una specie di shock per i Radiohead, che avevano sempre avuto il gruppo di Athens come riferimento, musicale e non.

Fu l'inizio di una buona simbiosi tra band, in particolare tra i due frontman, Yorke e Stipe. Al riguardo i membri dei Radiohead dissero più volte di come impararono a gestire la vita durante un tour proprio grazie allo stretto contatto con i R.E.M. Curiosità: fu proprio in questo periodo che il gruppo subì un furto di gran parte dell'attrezzatura, dalle chitarre fino ad arrivare a parti del sistema PA, obbligando ad acquistare tutto in un brevissimo tempo per non interrompere il tour. Il tecnico storico del gruppo Plank ci scherza ancora su facendo notare che almeno, a livello assicurativo e per i feticisti, si sa con certezza la data di acquisizione di molti degli strumenti.

(Continua)

Fulvio Ferretti