Decima puntata della rubrica che vede Daniele Bazzani e Giovanni Onofri parlare delle...
Stampatevi bene in mente questo pezzo, perchè quello che ha generato questa canzone è stato forse il motore di tutta la produzione successiva dei Radiohead.
E' una canzone un po' cupa, tagliata a metà da una chitarra potente e distorta che fa a cazzotti con l'atmosfera del pezzo.
"Questa è la chitarra di Johnny, si era stancato di suonare il pezzo così, e lo voleva rovinare" dice Ed O'Brien, uno dei due chitarristi. L'altro è Johnny Greenwood, personaggio particolare e polistrumentista, uno che quando suona si piega sulla chitarra e da pennate come se zappasse. Tra l'altro e anche il fratello del bassista Colin.
Comunque il pezzo diventa in poco tempo una hit mondiale.
Il bassista Colin Greenwood la descrive così: "Ci avrebbe dato fortuna, ci avrebbe distrutto la vita e ci avrebbe illuminato il cammino”.
I Radiohead vengono definiti come una band one-hit wonder, come un fuoco di paglia. Neanche un buon album,successivo come "The Bend" riesce a zittire i detrattori.
Si arriva al 1996. Il gruppo ha viaggiato per il mondo per mesi e mesi, tour dopo tour. Ha rischiato di implodere su se stesso, dopo l'onda di notorietà dovuta a Creep.
Però The Bend ha venduto bene, l'etichetta per cui i Radiohead incidono ha alleggerito di molto le tensioni e le pressioni e le registrazioni si svolgono in un clima di relativa tranquillità, in un maniero che viene sfruttato in lungo e in largo, registrando un po' in tutte le sale, e quasi sempre con una intezione live.
Bene, fermatevi un attimo
Salto temporale, come se avessimo la Delorean di Doc e Marty.
Adesso siamo nel 2005, quasi dieci anni dopo. Ci sono io, un io dicianovenne alle prese con il dopo maturità, che ha tirato fuori per la prima volta OK Computer: si, lo sa che è un po' in ritardo sui tempi, ma tant'è, gli hanno consigliato questo disco, il migliore di questa band di cui ha sentito parlare tanto e anche bene. Lui conosce solo una ballad, ascoltata una volta, No Surprises, e non gli dispiace.
Tlac. Aperto il pc, aperto il cd, si inserisce nel lettore, caricamento e play.
"Airbag".
Un intro di violoncello e chitarra, un paio di battute di synth, poi la voce.
Una voce chiara, quasi sottile, al limite del nasale ma piacevole. Poi il basso che parte quando non te l'aspetti. "Ma che cacchio di titolo... Che dice il testo?" "In an interstellar burns i'm back to save the universe". Strano, un testo che parla di incidenti stradali, di airbag e di futuri ipotetici oscuri. Il tutto condito dalla chitarra folle di Johnny, passata attraverso vari filtri, uno Space echo e un Whammy.
Via, seconda traccia, "Paranoid Android":
questa è un flash completo. Parte, triste e rassegnata, la voce chiede "Please could you stop the noise, i'm trying to get some rest".
Thom al riguardo aveva detto: "La sera prima della registrazione ero andato a letto ubriaco, i ragazzi lavorarono tutta la notte alla base strumentale e il mattino dopo, quando sentii il primo raw mix suonato ad altissimo volume, rimasi stupito dall'energia prodotta... Il testo arrivò quasi dal vivo".
Eccolo qui il fantasma di Creep.
"Era semplicemente la descrizione del rumore che avevo in testa dopo mesi di tour".
Una lunga cavalcata, primo singolo del disco, dichiaratamente anticommerciale, con i suoi sette minuti e i suoi quattro movimenti.
E soprattutto una constatazione della soppressione dell'umanità da parte della società: "I May Be Paranoid but i'm not an android".
Anche qui i filtri fanno da padroni, rendendo le chitarre urlanti, dolenti,arrabbiate ed acide.
Al me di oggi sarebbe bastato. Ma il me di qualche anno fa aveva bisogno di altro. Detto fatto. La traccia tre è quella dell'innamoramento completo.
"Subterrean Homesick Alien".
Quella da sparare a cannone in auto con i finestrini giù in estate e da cantare ipnotizzati dalla linea bianca persa nella nebbia notturna invernale.
Perchè questo pezzo non ha un delay. Ha IL delay. Per il teenager meglio di The Edge, di Guilmour e anche di Hendrix.
Un combinazione aliena di Whammy, Space Echo e Phaser.
Infatti proprio di alieni parla la canzone.
E lo fa in maniera dolce: "In the breath of the morning, I keep forgetting the smell of the warm summer air" e anche "And up above aliens hover Making home movies For the folks back home" per finire con la richiesta "Take me on board their beautiful ship, show me the world as I’d love to see it".
Si, perchè forse il mondo visto così è meglio. Ormai il dicianovenne ci ha preso gusto. Si va avanti.
"Exit Music (For A Film)".
Ecco qui ci si avvicina al top del disco. Un melodia triste e sommessa, accompagnata da una voce quasi sussurata "Wake from your sleep and dry all your tears today we escape, We escape".
E' la canzone di una fuga disperata, così disperata che quasi sembra terminare dopo la prima strofa. Qui il diciannovenne quasi stacca il cd, passando oltre, proprio in quel momento partono le tastiere del tipo strano di cui si parlava sopra.
Poi è il turno della sezione ritmica, vestita di scuro da un fuzz sul basso.
Poi l'esplosione: la voce da sussurata si decide e arriva al solo: "You can laugh a spineless laugh, we hope your rules and wisdom choke you".
Meglio la morte della fuga? Per il diciannovenne no, molto meglio la fuga... Anche se forse, visto a largo raggio potrebbe diventare un domanda tipo: "Meglio la fuga dalla realtà o la vita in questa realtà?" Gagliardi questi tipi!!
Il nostro teenager pensa che un'altro pezzo così e si spara... Però quella voce è sincera sul serio e non ti prende in giro. Ti prende alla gola
Ecco la cinque. "Let Down".
Anche questa registrata abbondantemente dal vivo. L'atmosfera si alleggerisce, e il dicianovenne tira un sospiro. Un arpeggio suadente supportato da un loop e arriva la voce, che se la prende questa volta molto serenamente con il via vai della vita...
Forse anche con la superficialità del vivere: "Let down and hanging around crushed like a bug in the ground".
Il finale rimane molto aperto, le voci si incrociano e si armonizzano, ricordando che alla fine, elettronica o no, qui si parla di pop-rock, anche se di lusso.
Dopodichè il loop di prima porta dolcemente alla traccia successiva.
Qui il nostro teenager rimane spiazzato... Che cacchio è 'sta intro piano e chitarra acustica?!
Ricontrolla il disco, magari ha caricato un pezzo di Robbie Williams, o peggio di Baglioni. No no, sono proprio i Radiohead!
Si ricorda anche un clustrofobico video, di un'auto che rincorre una persona. Mh... "Karma Police, arrest this man he talks in maths, he buzzes like a fridge he’s like a detuned radio".
Il testo però è figo, e qui ci prende proprio.
La Polizia del Karma, quella che decide che cosa e come si deve provare, cosa è giusto o sbagliato... Quella che ti chiede sempre conto, di tutto. Che bel finale, con quel lamento elettronico che si spegne pian piano, quasi fosse una sirena che si allontana... I nostri saranno sfuggiti all'appiattimento gentilmente offerto dalla Polizia?
Sembra di si. "Fitter Happier" è li che dice che forse sono sfuggiti.
La voce di un Mac (si, proprio il computer) declama con fredda precisione il giusto stile di vita del nuovo millenio. Ma non convince. Chi ha detto che è il giusto stile di vita? Un Mac? O altre cose, persone, fatti? E voi vi fidereste di un computer? Forse si, sono sfuggiti davvero alla Karma Police!
Ma va là pensa il nostro ascoltatore, neanche un testo politico... Ma vai a vedere che nel '96 in Inghilterra le cose funzionavano davvero... Ah no ecco! "Electioneering" parte, e per la prima volta dall'inizio del disco l'elettronica ha un po' di pausa, chitarre dirette e un distorsore che suona veramente rock.
E anche il testo è rock, almeno per il teenager in quel momento: "When electioneering I trust I can rely on your vote When I go forwards you go backwards". Questo si che è cantare... E credo che sia pure abbastanza arrabbiato.
Almeno, la batteria non è mai stata così incisiva dall'inizio del disco... Bello il solo, forse l'unico del resto, anche questo ben inserito nel contesto. D'altra parte non si sente il bisogno di pirotecniche chitarre soliste. C'è ben altro che supporta la baracca. Poche battute ancora e un whammy fa sfumare la canzone.
Ancora avanti, manca ancora qualche traccia, ma abbiamo superato abbondantemente la metà!
Ecco "Climbing Up The Walls". E qui l'atmosfera ritorna cupa, quasi un ritorno all'inferno dopo la relativa calma dei pezzi precedenti. Non c'è più neanche il basso, sostituito da una Novation Bass Station (il nostro adolescente lo scoprirà solo anni dopo).
Le chitarre qui si nascondono dietro a delay e tremolo, la batteria si fa schermo di altri filtri, mentre la voce effettata racconta una storia di follia e paranoia, questa volta oscura e tetra, e non semplicemente malinconica: "And either way you turn, I’ll be there, open up your skull, I’ll be there climbing up the walls".
Cosa c'è che tormenta il protagonista della canzone? Cosa c'è di così tanto drammatico da fa urlare così tanto alla fine del pezzo? Sempre il fantasma di Creep? Il dicianovenne qui è arrivato all'inqietudine. Qui sembra proprio che il gruppo abbia perso la speranza, che sia completamente senza futuro.
E invece arriva la ballad. E che ballad: una Rickenbacker con un capo al 15 tasto, quasi a voler simulare un'arpa, emette un riff quasi celestiale, e il cuore del nostro ascoltatore si apre. Uno xilofono va dietro alla chitarra, poi tranquilli e sommessi, anche gli altri del gruppo. Il testo è rilassato, ma di una rilassatezza rassegnata. "With no alarms and no surprises".
Ma verso cosa? La strofa dopo spiazza l'adolescente "This is my final fit, my final bellyache" e poi il ritornello che incalza. Accidenti! Una canzone così bella che maschera un testo così triste! Eppure è suadente, non sta raccontando una balla. La voce è proprio stanca di tutto e tutti, fino all'estremo. I cori si incrociano, in una di quelle armonizzazioni che andrebbero bene anche in un coro gregoriano.
Poi finisce, così come era cominciata. Toccante ed estremamente bella. E stranamente estremamente viva. Lontana dalle parole accostate al pezzo. Mah, proprio strani questi Radiohead!
Forza, si dice il nostro, altre due tracce e il disco è finito, anche se per un attimo rimane a fissare il tasto Repeat, proprio per la ballata che lo ha colpito tanto.
"Dopo" si dice, prima di andare a dormire, per mettere il cervello e il cuore in pace, al di là delle parole, lasciando parlare solo la musica.
"Lucky".
Bel nome per un pezzo! Sentiamo: due chitarre al limite del crunch fanno da sfondo a una voce che sembra aver superato tutti gli episodi precedenti. E' una richiesta di aiuto.
Prima arriva una chitarra con un tremolo e quello che sembra un wha, pulsante e ondulante. Ma per fortuna non è una chitarra oscura.
Anche lei chiede aiuto, e proprio quando la chitarra arriva al culmine, la voce chiede "Pull me out of the aircrash pull me out of the lake cause I’m your superhero We are standing on the edge". Sono sull'orlo di un precipizio, me forse, a giudicare dalla parte strumentale, si sono salvati. La chitarra pulsante, che poi è un'altra pensata di Greenwood, cresce ancora e, lenta, suona poche note, questa volta luminose, che non mettono ombra al tutto.
La voce ripete criptica: "And we're standing on the edge". Secondo il teenager ce l'hanno fatta. Anche valutando l'ultimo pezzo del disco, il successivo, tra l'altro unico scritto da Johnny.
"The Tourist" parte con un tempo misto, zoppicante ma efficace.
Due chitarre si completano a vicenda, e la voce, calma ma non stanca o delusa, inizia a raccontare la storia: è un visitatore, forse uno di quelli che spiava dalle crepe del pavimento, quelli del testo della terza traccia. Il nostro turista, si guarda in giro, gli abbaia contro un cane, che ha capito che non è del luogo.
Eppure nessuno lo nota, tutti presi dalla vita frenetica. Il nostro alieno però s'incazza: la chitarra distorce fluida e sembra quasi dargli ragione dopo che la voce a gridato "Hey man, slow down slow down. Idiot, slow down slow down". Il dicianovenne ridacchia per questa conclusione. "Dovrebbero scriverlo sulle multe per eccesso di velocità!!"
Poi, qualche battuta solo di batteria, un colpo di triangolo, e tutto finisce così come era iniziato.
Primo pensiero "Mah".
Dopo due secondi di osservazione dello schermo del lettore azzerato: "Bello!".
Dopo altri tre secondi realizza: "Questo disco è uno spettacolo!"
Spegne tutto, e si avvia verso il letto, mentre rimugina su tutto ciò che ha appena ascoltato.
Si può definire come un concept? Naaaa, tutti episodi staccati. Eppure il filo conduttore c'è: qualcosa del tipo uomo contro società. In ogni caso, non sembra vincere, o almeno non ne esce completamente sano.
Ripensa al quello che Yorke aveva detto riferito a Paranoid Android.
Quello che esce dal disco è un uomo che ha perso un po' della sua umanità, estraneo al suo tempo, conscio dei suoi limiti, ma incapace di affrontarli. Perso in quello che lui stesso ha creato. Con desideri di fuga e tranquillità, in qualsiasi modo possibile.
Poi però al nostro adolescente, ormai assonnato, salta agli occhi una cosa: E' un disco del '96. In Inghilterra c'era il Brit Pop, tutti di moda e felici, in America tutto il nichilismo del grunge era passato e il terrorismo era solo una vaga ipotesi strategica da esaminare 50 anni dopo.
Il macello della ex-Yugoslavia sembrava essere quasi pacificato, il petrolio costava poco. Insomma, doveva ancora esserci l'11 settembre. Un disco come Ok Computer avrebbe avuto senso dopo quella data.
Oppure... Beh, Creep aveva dato via alla reazione a catena nelle menti dei cinque di Oxford.
Tra l'altro normalissimi, non rockstar tutte gossip e soldi. Gente che suona con passione ed energia. Con così tanta energia che all'ormai famoso Greenwood avevano dovuto mettere una imbragatura al braccio destro per evitare che la foga con cui massacrava la chitarra peggiorasse la tendinite di cui soffriva.
E allora come è uscito Ok Computer? Sono dei geni? O semplicemente hanno avuto la fortuna e l'intelligenza di sfruttare il botto/crollo della loro prima hit mondiale per vedere il mondo sotto un punto di vista diverso?
Il dicianovenne, nel completo della sua ignoranza e inesperienza, opta per la seconda ipotesi.
E decide che Ok Computer è attuale. Drammaticamente attuale. Lui di strada ne ha ancora da fare, deve andare a letto che il giorno dopo ha l'università.
Si mette le cuffiette, accende il lettore cd, mette il volume al minimo, cerca la traccia 10, seleziona il repeat, poi spegne la luce, fa un sospiro e chiude gli occhi.
E pensa: "Questo si che è un gran disco, sarà pure pessimista, rassegnato, purtroppo realista... Però finchè di saranno dischi così, ci sarò anche speranza. Perchè al di là di tutto, qui si sono sublimati tutti i cattivi pensieri in qualcosa di pulsante, urlante e reale. Vivo".
Fulvio Ferretti
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