Decima puntata della rubrica che vede Daniele Bazzani e Giovanni Onofri parlare delle...
A Guastalla ho deciso di andare su specifica richiesta di mia moglie la quale, per accettare di venire con me il prossimo 1° luglio ad ascoltare Buddy Guy a Trezzo sull’Adda, ha preteso che l’accompagnassi, bimbi al seguito, a sentire la Premiata.
Non ero affatto convinto della trasferta ma, per un Pezzo di Storia del Blues come Buddy, avrei fatto qualunque cosa e quindi ho, di buon grado, accettato.
Tralascio i particolari sulla giornata trascorsa fra la casa di Giuseppe Verdi e il paese di Don Camillo e Peppone e vado subito al sodo.
Sabato, ore 19,30 circa, arriviamo a Guastalla, il tempo è bello, il cielo sereno, la temperatura è bassa, quindi niente zanzare, ma c’è la necessità di vestirsi bene per evitare guai di raffreddore.
Arriviamo e ci mettiamo in prima fila, i miei figli cominciano, dopo qualche minuto, a scalpitare: “... papà, quando comincia? ... possiamo andare a fare un giro da soli?” Decido di lasciarli fare, la piazza è piccolina e loro sono ormai sufficientemente autonomi per potersi gestire da soli.
Lancio un occhio sulla strumentazione di Mussida: solita Les Paul 25/50 penso del 1978 circa, un’altra Custom bianca, Gibson "Chet Atkins" con corde in nylon, un’acustica molto particolare che non riesco a riconoscere, ampli, testata e cassa 4x12 della Randall.
Nel frattempo arrivano in piazza, davanti al palco, a pochi metri da dove eravamo alloggiati, Franco Mussida, Franz Di Cioccio e Patrick Djivas che si concedono ai giornalisti; manca Flavio Premoli, ormai dedito ad altre attività artistico-musicali ed egregiamente sostituito da un giovane ottimo tastierista reggiano, Gianluca Tagliavini.
Franco Mussida ha la solita aria distaccata tipica della “nobiltà” milanese... credo che, in realtà, sia un uomo caratterialmente molto schivo ed introverso.
Franz Di Cioccio è il solito personaggio irriverente, sembra un folletto saltante, tutto nervi e reattività, è sempre stato il musicista che più mi affascinava del gruppo.
Patrick Djivas, con il cappello in capo, sembra un canzoniere gitano, un “artista pittore” d’oltralpe, uno “scrittore maledetto”.
Termina l’intervista e i miei figli, tornati nel frattempo alla base, mi chiedono: “papà, chi sono quei signori?”, spiego loro un po’ di storia, il Rock Progressivo, uno dei pochi gruppi italiani, assieme al Banco, che hanno avuto successo negli U.S.A. ed in Inghilterra, i King Crimson, i Jethro Tull, ecc. ecc.
Ore 21,45 circa, inizia il concerto, noi sempre in prima fila, si inizia rievocando Fabrizio De André, a mio modo di vedere uno dei più grandi “poeti” nati sul suolo patrio, buona musica, mi piace.
Dopo qualche attimo inizio ad apprezzare sempre più lo spettacolo:
Parliamo adesso di Franco Mussida, serio e compassato nei suoi vestiti rigidamente neri che fanno risaltare la chioma lunga e bianca che sfiora le spalle.
Il “giovane” chitarrista promette veramente bene, da rilevare l’altissima professionalità del tocco e l’abilità di governare la dinamica di suono con la mano destra. Per quanto riguarda la precisione e la pulizia direi che rasenta la maniacalità: mai una sbavatura, mai un bending sbagliato, mai una nota fuori posto... la cosa più sorprendente è la precisione di esecuzione, oserei dire “tutto esattamente come nel disco”, una cosa SPETTACOLARE!
Alla fine del concerto riesco anche ad accaparrarmi il plettro Dunlop, nero, in plastica, spessore 1mm, usato da Franco. La cosa mi fa ritornare ragazzo, torno a casa esaltatissimo ed il viaggio di ritorno trascorre a parlare con la mia famiglia (direi da solo, in realtà si sono addormentati tutti, sfido, sono le due passate!) di quanto sia stato bello e coinvolgente lo spettacolo a cui abbiamo assistito.
Ho voluto raccontarvi questa storia per rendervi partecipi di una esperienza che, da tanto tempo, non vivevo. Erano anni che non assistevo a concerti di seri professionisti avendo la possibilità di vederli da vicino.
Gli ultimi concerti visti erano negli stadi, dove tutto è molto più lontano, dove la folla ti opprime. Sabato ho vissuto una bellissima situazione, la dimensione “piccola piazza” mi ha reso più partecipe all’evento musicale, ho “vissuto” fisicamente e emotivamente il concerto, l’abbiamo “vissuto” in questo modo sia io, sia mia moglie, sia, e questo è molto importante, i miei figli.
Un consiglio per tutti: se vi capitasse l’occasione di assistere ad un concerto della PFM non fatevelo scappare! Vale veramente la pena esserci, potrete vedere un gruppo di seri ed bravi professionisti che suonano per il loro pubblico, con massimo impegno ed estrema padronanza della Musica.
Un caro saluto a tutti.
Marco
MBBlues
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