Musicologia: Giacomo Leopardi

Scritto da Nelson il 27/Apr/2009 alle 00:02

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“La musica, se non è la mia prima, è certo una gran mia passione, e dev’esserlo di tutte le anime capaci d’entusiasmo...”

Leopardi e la musica

Leopardi dichiara espressamente di aver cominciato tardi ad ascoltar musica e che prima del 1816 (egli aveva 18 anni all’epoca) la sua conoscenza musicale si fermava ai soli canti popolari che giravano per Recanati. La prima opera a cui assistette fu probabilmente “Il Turco In Italia” di Rossini, durante la quale pianse dall’inizio alla fine, poichè aveva creato in lui “effetti veementissimi di commozione”.

Dal 1819 la sua prima idea circa la musica si concretizza per poi maturare nel 21 dove approfondisce l’argomento non solo sotto l’aspetto del pensiero, ma anche sotto quello dell’esperienza.

Con la sua venuta a Roma nel 1822 ha l’occasione di sentire altre varie opere sia di Rossini (del quale continua sempre di più a diventare ammiratore) sia di altri compositori contemporanei (quali il David e il Carraffa) del quale egli nota le influenze Rossiniane (e in seguito li criticherà anche per la non originalità e l’imitazione) dimostrando così una ottima capacità critica nonostante i pochi ascolti.

La sua conoscenza musicale si amplia in seguito a Bologna, città che secondo Leopardi era la musica stessa in quanto “tutti voglion cantare o suonare e c’è musica dappertutto“, dove continua a seguire gli spettacoli in voga dell’epoca (su tutti il “Barbiere di Siviglia” di Rossini).

Col passare del tempo però dovette abbandonare questa sua passione perchè i suoi occhi a teatro iniziavano sempre di più a patire, senza contare il fatto che sentiva anche la mancanza di una compagnia d’amici e che gli spettacoli non avendo altro fine che il piacere, gli recavan noia e spesso disgusto.

I componenti della musica: armonia e suono

Il primo dilemma musicale di Leopardi si aggira attorno al bello in natura e quindi anche nella musica. Scioglie allora la musica secondo ciò che per lui erano i suoi due cardini fondamentali: il suono e l’armonia. Il suono determina l’effetto generico della musica, la sua forza si estende non solo agli uomini ma anche a tutto il mondo animale. Tocca all’uomo a quel punto fare in modo che la propria voce si elevi a significato di musica per diventar anima di godimento artistico.

Rispetto all’armonia il suono ha un importanza rilevante, poichè l’armonia stessa deriva dal “primitivo suono” e anche perchè la più bella melodia eseguita da una brutta voce o da un cattivo strumento risulta a noi detestabile.

L’armonia d’altronde è ciò che in musica determina il bello ed è variabile a seconda delle conoscenze umane (come nel caso dell’odierna società occidentale che ha una conoscenza relativa a 5 note ovvero “pentatonica” rispetto alle 12 esistenti).

Suono e armonia sono quindi inscindibili. Uno rafforza l’altra. Il suono senza armonia non è abbastanza forte e durevole mentre l’armonia senza suono sarebbe totalmente inutile (anche se Leopardi continua a far prevalere il suono poichè “basta sol quello per smuovere l’animo umano”). La musica infine è qualcosa di profondamente soggettivo e intimo ed è il vero tramite tra noi e le emozioni in quanto non si tratta di accogliere dall’esterno un emozione, ma muovere dentro l’espressione musicale i nostri sentimenti.

Come si ascolta la musica?

Leopardi però dà completo sfoggio della sua capacità musicologica quando si dedica all’argomento dell’ascolto della musica. Il primo termine che Leopardi cita è l’assuefazione. Leopardi nota che in musica (che gli pareva “la più universale delle bellezze”) l’orecchio dell’ignorante è diverso da quello dell’artista poichè il primo da giudizi nulli o rudimentali mentre il secondo ricchi ed eleganti. Il diletto e il bello in musica quindi derivano da una continua assuefazione che portano ad una abitudine generale alla melodia.

Infatti le musiche più apprezzate sono le cosiddette “popolari” che il pubblico ascoltandole riesce immediatamente a coglierne il mezzo, il fine e tutto l’andamento. Il pubblico infatti preferisce questo tipo di musica perchè intuitiva e non necessita di numerosi ascolti per essere apprezzata.

Questa “assuefazione popolare” (nata appunto da successioni di suoni  universalmente piacevoli) è appunto alla base anche della nostra musica pop (senza contare il fatto che l’analfabetizzazione musicale oggigiorno è maggiore).

Il problema alla base è sempre l’ascolto. Più musica si ascolta, più l’orecchio si affina a melodie differenti creando così una facoltà di giudicare le melodie in maniera migliore, varia ed estesa.

La musica è inoltre un campo difficile poichè la novità, a differenza delle altre arti (come la poesia, la scultura e la pittura), significherebbe “disarmonia e sconvolgimento delle assuefazioni generali” (poi in seguito Schonberg introdurrà la dodecafonia che porterà la musica classica verso nuovi orizzonti).

Per Leopardi questo problema non è tanto nelle successioni di suoni (che sono infinite), ma nelle successioni di suoni che creano “il diletto che nasce dal senso della melodia”. Quindi concludendo è complicato abituarsi alla musica. Essa non è visiva, a differenza delle altre arti, non possiede sostanziali novità (anche se questo però è un concetto legato ad un mondo musicale abbastanza lontano dal nostro) ed è strettamente legata ai costumi di ogni luogo in cui viene composta.

Popolo e critico

Leopardi a questo punto nota due cose fondamentali. La prima è che il popolo non apprezza mai ciò che l’intenditore apprezza e viceversa. La seconda è una riflessione riguardo Rossini. Leopardi amante di Rossini non riesce a capire perchè vari intenditori di musica (annoverandosi egli tra questi) lo critichino sol perchè piacente al popolo.

Dopo aver concluso che “la vera arte dei compositori è l’effetto delle loro invenzioni” (lodando in seguito di più chi con la musica vuole muovere l’animo degli ascoltatori anzichè meravigliare con composizioni forzate gli intenditori) si interroga riguardo alle differenze tra il popolo e il critico.

Criticando inizialmente la mancanza di veri critici musicali (per Leopardi questi ultimi non solo non riuscivano a sentire la bellezza della musica ma non riuscivano neanche a cogliere le varie ed evidenti incongruenze armoniche) riesce a capire la differenza sostanziale tra il popolo e gli intenditori.

Gli intenditori, conoscendo le regole e le leggi della musica, tendono a giudicare secondo i principi (come farà Adorno nei confronti dello stravolgimento dodecafonico di Stravinsky) mentre il popolo giudica secondo le proprie assuefazioni (e in alcuni casi il loro godimento deriva principalmente dall’origine primitiva del suono).

La colpa dell’ignoranza musicale del popolo Leopardi la attribuisce principalmente a due cose: per prima la scuola legata ad un sistema tecnico, rigido e antiquato (ancora oggi in Italia la musica è praticamente assente negli ordinamenti scolastici e prigioniera dei conservatori mentre in tutto il resto d’Europa nascono accademie di musica moderna) e per seconda la cattiva reazione degli intenditori verso alcune musiche popolari (naturalmente qua Leopardi fa riferimento a Rossini).

Concezione musicale di Leopardi

Le idee musicali di Leopardi, scritte in un breve periodo della sua vita (dai 23 ai 25 anni circa), nonostante risultino a volte incomplete e imperfette, sono nell’indagine sull’essenza della musica senza confronto.

Inoltre la scoperta di quest’arte cambierà tantissimo l’idea di poetica Leopardiana. Infatti Giacomo, dopo l’ascolto di Rossini, cercherà di trarre in poetica (e soprattutto grazie anche al supporto della lingua italiana reputata da esso la più poetica in assoluto) ciò che aveva colto grazie alla musica.

Da qui in poi inizierà infatti la sua ricerca dell’armonia in poesia. Leopardi prende la musica come lo strumento ideale per esprimere l’indefinito dell’anima (come se la poesia non bastasse perchè ancora troppo determinata nella costrizione del significato delle parole) e per suggellare questo infinito amore la identifica come una “medicina, quasi un narcotico, preparata dalla natura medesima, poichè l’uomo potesse sopportare i suoi mali più leggermente”.

Nelson