Luciano Ligabue: la storia di un rocker italiano. Part One

Scritto da FerroFe il 03/Jan/2009 alle 00:45

Sezione:

 

Ligabue. 1990

Il disco d'esordio di Ligabue, omonimo, è una bella opera prima: colpisce molto la gente e ha il decisivo pregio di conservare ancora oggi un carica ingenua che fa onore allo spirito del rock. Sono lontani i vari Campivolo e i dischi di Platino, e nel disco si sente.
 
I suoni sono quantomeno strani: li definirei a metà via tra gli 80 e i 90. Una cosa è sicura: sono naif, sporchi ma efficaci.
Le chitarre di Max Cottafavi vengono direttamente dal mondo U2, la batteria è molto secca e presente, quasi grunge come suono. I testi sono si rock, ma venati di cantautorato. Raccontano storie strane ma appassionate.

Tutto è comunque ridotto al minimo essenziale: il disco è stato registrato in meno di due settimane, prodotto dallo stesso Ligabue aiutato dal grande Paolo Panigada che, fortuna vuole, stesse registrando con Elio e Le Storie Tese nello stesso studio. Minimo essenziale che coinvolge anche le sei corde: il chitarrista è uno e deve riempire con ritmiche e delay alla The Edge, gli assoli sono pochi e corti, con solo una piccola concessione al tapping in "Radio Radianti".

Scorrendo la tracklist, mi viene da passare oltre le solite "Balliamo Sul Mondo" e "Piccola Stella Senza Cielo", forse troppo sentite e analizzate, quasi avessero perso una verginità emozionale. Qui salta fuori una regola che credo valga per tutta la produzione del musicista correggese: il meglio non è quasi mai diventato singolo.
Oltre ai due pezzi citati su ci sono "Bambolina e Barracuda", pezzo metà cantanto e metà parlato che narra le gesta di un playboy e della sua notte improbabile, ma anche "Marlon Brando E' Sempre Lui", in cui Hammond e chitarre rock stoppate fanno da contorno ai poveri ma belli ed al loro "maggiolone cabriolet".

Da notare anche il ballatone "Angelo Della Nebbia", che amo per le immagini quantomeno suggestive del testo. Poi c'è "Figlio di Un Cane", pezzo rock tirato e "Non E' Tempo Per Noi", in questo disco in veste quasi country: un semplice dichiariazione di aiuto di un sopravvissuto agli anni '80. Stampatevi in mente questa piccola frase, tra un disco diventerà molto importante. A fare numero, uno scherzo da studio delta blues tutto dobro e slide: "Freddo Cane In Questa Palude".

In questo disco ci sono almeno due pezzi, non singoli appunto, che meritano tanta attenzione: "Bar Mario" e "Sogni di Rock'n'Roll".
La prima è una affresco emozionato, affettuoso e affezionato di una provincia da bar, strana ma genuina, dotata di un riff vigoroso e orecchiabile.
 
La seconda è invece una canzone di cui faccio fatica a parlare: l'avrei semplicemente voluta scrivere io. E anche questo è un affresco, quasi autobiografico, ma intenso e soprattutto reale. Nella sua ingenuità è perfetto, come testo e come atmosfera.

L'album comunque piace, vende bene, permette ai nostri di iniziare a assaporare la vita on the road e risulta essere una bella alternativa nella musica italiana dei primi anni '90. Forse non innovativa ma fresca.

Ma la cosa più notevole che risalta in questo disco è la capacità di raccontare storie: quasi come un menestrello moderno. Lontanto dall'epicità e drammaticità di maestri come De Andrè o (andando oltre oceano) Springsteen, ma proprio per questo accessibile e piacevole, anche sognante a tratti.
 
Nota personale: io non capisco proprio come all'uscita del disco, ma ancora oggi, molti lo definiscano lo Springsteen italiano. Partendo dai testi (meni epici e drammatici appunto) fino al lato musicale secondo me non c'azzecca proprio una mazza. Il suo gruppo di allora , i Clan Destino, suonavano paurosamente U2: se vi riascoltate con attenzione le chitarre troverete delay con ottavi puntati e uso abbondante di quarte che vengono proprio da lì.

Lambrusco Coltelli Rose & Pop Corn. 1991

Avanti nel tempo. Arriviamo al '91, i nostri sempre in tour ci prendono gusto e, in un pausa, registrano il secondo album "Lambrusco Coltelli Rose & Pop Corn". Il critico Riccardo Bertoncelli l'ha definito "un "Libague Pt.2".

E infatti questo disco conserva i pregi del precedente, con un lavoro molto più fine e curato sia sui suoni che negli arrangiamenti. Qui non c'è più il sentore, anche se vago, che tutto sia stato fatto per urgenza e necessità, a volte un po' tirato via. Qui tutto è stato fatto più posato e pensato, senzo però perdere la spontaneità.

Il sound Ligabue + ClanDestino diventa un marchio di fabbrica, una peculiarità. Grazie all'arrivo nel gruppo di Giovanni Marani alle tastiere lo spettro sonoro si arrichisce pur non cambiando molto dal capitolo precedente.
Si guarda la scaletta e la prima cosa che salta all'occhio è la presenza di pezzi non strafamosi, fatta eccezione per "Urlando Contro Il Cielo", che però ha una genesi un po' particolare: è uscito solo come terzo singolo, eppure è uno di quei pezzi di Ligabue che tutti, più o meno, conoscono.

Uno dei pochi brani in cui il tono è epico, così come le immagini raccontate, in cui per un po' si perde la dimensione provinciale e si va oltre. Anche se, personalmente, a questa versione preferisco quella dal vivo registrata qualche anno dopo a S.Siro.
Degni di nota anche "Libera Nos A Malo" e relativo intro, scritta pensando a Pier Vittorio Tondelli e dotata di un grandissimo riff iniziale e di un bel solo, ma anche "Anime In Plexiglass", un pezzo molto pop rock ma con un testo inusuale in cui si narra di una futuro tetro ma vivo: qui si sentono echi di Orwell e saltano in mente subito le immagini di Blade Runner.

Rimango sempre un po' interdetto da "Sarà Un Bel Souvenir": sarebbe una ballad perfetta, con una atmosfera malinconica e tirata. Viene però rotta e secondo me disturbata da un ponte troppo sparato, troppo distorto. Sono sempre gusti, il testo rimane evocativo e il solo di Cottafavi lo ritengo di gran pregio.
Molto buona "Salviamoci la Pelle", in cui ricompaiono i poveri ma belli di "Marlon Brando E' Sempre Lui": questa volta però il maggiolone è mezzo di fuga e non di divertimento. L'artista si conferma menestrello, sembra proprio che la sua arma migliore siano le storie contenute nelle sue canzoni.

Di buon livello "Lambrusco & Pop Corn", in cui si fa notare che l'America è di là, e qui da noi la vita è da vivere. Strano destino che ha avuto questa canzone: al momento della sua uscita come singolo molti accusarono Ligabue di voler descrivere una sua versione del sogno americano. Mai capita neanche questa cosa, ascoltando il testo si pensa a ben altro...

Molto singolare "Ti Chiamerò Sam (Se Suoni Bene)": è un'altra storia, raccontata con taglio quasi cinematografico ed arricchita da un arrangiamento molto vicino alla musica popolare. "Regalami Il Tuo Sogno" è un pezzo delicato, una canzone d'amore quasi acustica, degna di chiusura di album.

Che cos'è rimasto? Il non singolo che forse è il pezzo più bello del disco: "Camera Con Vista Sul Deserto" è blues nell'anima con chitarre new wave, un'atmosfera sospesa perfetta e un solo slide acustico. Veramente ben riuscita.

Il momento d'oro del cantante emiliano dura ancora, e per i mesi compresi tra la fine del '91 e la fine del '92 tutto continua ad andare a gonfie vele: concerti un po' ovunque e il Filaforum di Assago pieno, e poi anche un live su VHS, registrato nella natia Reggio Emilia.

Sopravvissuti e Sopravviventi. 1993

Poi, alla fine del '92, esce "Sopravvissuti e Sopravviventi": ecco, vi ricordate "Non E' Tempo Per Noi"? L'umore che circonda questo disco è proprio questo. Come se Ligabue e i Clandestino, dopo due anni di tour, dischi, foto, articoli e giornalisti fossero stanchi morti e dichiarassero di essere sopravvissuti a tutto.

A molti il disco non piacque. Eppure personalmente lo ritengo uno dei suoi tre migliori. E' certamente l'album più rock di tutti, più cattivo, anche se contiene pezzi sconosciuti ai più. E' anche il disco della rottura: con il suo produttore scopritore, Angelo Carrara, e con i ClanDestino.

Eppure nel disco c'è uno dei pezzi più belli di tutto il repertorio, "Ho Messo Via". Una canzone che non ha perso il suo carico emozionale originale, seppur analizzata e molto sfruttata. A livello di suoni l'evoluzione c'è e si sente.
 
Le chitarre di Cottafavi sono più tecniche, i riff sono più veloci e complessi e i suoni puliti sono quasi totalmente scomparsi, mentre vengono introdotti effetti anche pesanti laddove prima compariva solo il delay. Si sente molto l'utilizzo di synth e tastiere, anche per riempire spazi solisitici prima dedicati alla chitarra. Compaiono strumenti inusuali per il rock, come la tromba in "Ho Messo Via" o l'intera banda paesana in "Quando Tocca A Te".

La stessa apertura del disco è singolare: le note iniziali di "Ancora In Piedi" non sono "nè un riff nè una frase ritmica", come ricorda lo stesso Ligabue. Segue un pezzo rock sulla constatazione di essere passati indenni a mille difficoltà. Già in questo testo iniziano ad affiorare le tematiche che verranno sviluppate più avanti dall'artista reggiano: il rapporto strambo di amore-odio con i media e con il pubblico.

Nell'album compaiono anche i pezzi forse più duri di tutta la produzione di Ligabue: "Pane Al Pane", pezzo un po' enigmatico sulle difficoltà di comunicazione, ma anche "Lo Zoo E' Qui", vetrina metaforica sull'umanità. In entrambi le chitarre di Cottafavi pestano per bene e snocciolano assoli meritevoli e le tastiere di Gianfranco Fornaciari, subentrato a Marani, si prendono i loro spazi solistici. Molto duro come suoni è anche "Dove Fermano I Treni": il riff iniziale sembra quasi metal, e anche l'assolo non scherza. Molto bello il testo, narrazione della stazione di Reggio Emilia e della sua fauna.

Personaggi veramente al limite dell'umanità e della speranza: ecco i Sopravvissuti del titolo. La posizione in scaletta di questo pezzo fa saltare all'occhio come questo disco viva anche di contrasto, di dinamica: lo stacco tra la precedente "Ho Messo Via" e il riff di "Dove Fermano I Treni" è quasi traumatico. Lo stesso stacco dinamico compare anche alla fine dell'album, tra "Pane Al Pane" e "Quando Tocca A Te". Il secondo pezzo dell'album, "AAA Qualcuno Cercasi" è un po' anonimo, anche se contiene un bel solo.

Anche qui non mancano le storie, come quella di Veleno in "I Duri Hanno i Due Cuori", pezzo che riprende la struttura di "Bambolina E Barracuda". Ma anche le vite isolate de "La Ballerina Del Carillon", ballata dai suoni molto effettati ma di bella atmosfera.

Da notare che tutti  i personaggi, al contrario dei dischi precedenti, subiscono la vita più che viverla. Ecco forse da dove parte anche l'alone un po' negativo ma molto affascinante che circonda il disco.

Sempre rimanendo in "storie di vite isolate" c'è da citare "Walter Il Mago", costruita su una arpeggio di piano e in cui la batteria con le spazzole sottolinea chitarre pesantemente effettate dal delay.

La citata "Quando Tocca A Te" lancia un invito a prendersi le proprie responsabilità: molto bello il riff iniziale suonato su un 12 corde. Poi il pezzo forte dell'album: l'affresco di "Piccola Città Eterna" ha la stessa intensità di quello di "Bar Mario", anche se qui c'è molto meno ottimismo e molta più rassegnazione. Più sopravviventi che sopravvissuti insomma. Presente anche lo scherzo di studio, sotto forma di intro (un po' alcolico a dire il vero) a "Lo Zoo E' Qui". Strana la chiusura dell'album: un melodia suonata da archi e accennata da un kazoo.

Avevo annotato prima che questo disco è di rottura: non fu fortunato come i precedenti, vendette meno e fu accolto male dai media e dalla critica. Tutto questo sommarsi di tensioni, stress, due anni e mezzo di tour praticamente ininterrotto sulle spalle portarono alla separazione di Ligabue dai ClanDestino e al termine del rapporto con Carrara. Singolare pensare come un disco come Sopravvissuti sia uscito PRIMA di tutto questo periodo, e non dopo.

Lo si può considerare la fine del primo periodo artistico di Ligabue: il periodo del debutto e dell'igenuità, ma anche delle storie musicali. Senza volerlo il rocker ha creato un mondo di personaggi e di luoghi che ritorneranno anche più avanti, ma che costituiranno un immaginario collettivo affascinante e romantico. Negli album successivi ci sarà anche una evoluzione sonora verso un sound diverso e meno distorto, più classico.

Fulvio
FerroFe