Decima puntata della rubrica che vede Daniele Bazzani e Giovanni Onofri parlare delle...
La musica dei neri non fu mai più così lontana dal Blues (in senso stretto) come in questi anni; per una strana ironia del destino proprio l’isola che aveva fornito i primi deportati colonizzatori del Nuovo Mondo avrebbe raccolto e proseguito la tradizione del Blues, in attesa che due biondi fratelli di Nashville attraversassero i binari e … non abbiate fretta … vi presento un’isola ...
La nascita degli Yardbyrds può farsi risalire all’inizio del 1962 quando Keith Ralf e Paul Samwell-Smith (entrambi nati nel 1943 e provenienti dalla Metropolis Blues Band) si uniscono a Top Topham, Chris Dreja (1946) e Jim Mc Carthy (1943) dei Suburbitan Rhythm’n’Blues.
Gli inizi vedono negli Yardbyrds (che in slang significa “vagabondi” e non “gallinacci” come un fenomenale Mike Bongiorno presentòal Festival di Sanremo del 1966) un gruppo quasi “predestinato”: non ancora ventenni i nostri 5 devono sostituire tale gruppo chiamato Rolling Stones al Crowdaddy, locale di Richmond che vede la prima apparizione di giovin Eric Clapton (che nomi anonimi questi inglesi) sostituto del dimissionario Top Topham.
Il gruppo si distingue per la fedele rilettura degli standard del Blues e della musica Americana arrivando ad accompagnare l’armonicista Rice Miller in occasione della sua tournée Inglese del 1963.
La fama che il gruppo si guadagna attraverso le numerose apparizioni vedono nel giovane Eric un chitarrista raffinato e fedele agli schemi del blues ma non abbastanza “di peso”; in occasione delle prime incisioni, fallito il tentativo di reclutare Jimmy Page già affermato turnista, la scelta cade su una giovane promessa del Sussex, già chitarrista dei Tridents e consigliato a Keith Ralf dallo stesso Jimmy Page: Jeff Beck (1944).
Vengono pubblicate così Good Morning Little Schoolgirl e For Your Love (dicembre 1964 e gennaio 1965) seguite da Heart Full Of Soul che rivelano al mondo musicale il talento naturale puro e visionario del giovane Beck: la fantasia al potere !!!
Il successo dilaga praticamente ovunque raggiungendo vette impensabili con Shape Of Things nel 1966: dello stesso anno sono le apparizioni a Sanremo e nel film Blow Up! di Michelangelo Antonioni in cui un ammalato Samwell - Smith viene temporaneamente sostituito da Jimmy Page (Jeff Beck e Jimmy Page nella stessa formazione: meno male che non è durata…).
All’apice della gloria il gruppo si sfalda: nel 1966 Jeff Beck forma una sua band (il Jeff Beck Group con Rod Stewart e Ron Wood), Chris Dreja si dà alla fotografia e l’anno successivo lasciano anche Ralf e Mc Carthy lasciando postuma la pubblicazione degli album The Yardbyrds (1967) e Little Games (1968) con pezzi mediocri e mal terminati; rimasto solo, Jimmy Page riorganizza una formazione del tutto nuova in occasione di un tour nell’Europa del Nord dando vita, come è noto ai Led Zeppelin.
Gli Yardbyrds nacquero in Inghilterra in piena epoca Beat ma grazie alla loro dedizione alla musica Americana, seppero imporsi come il gruppo che avrebbe dato vita a tutto il movimento del British Blues.
Doverosa parentesi: per gli addetti ai lavori (leggansi Eric Clapton, Keith Richards, George Harrison, Edward Van Halen, Joe Satriani ma anche Bruce Springsteen e Pat Metheny … tutti dilettanti insomma …) Jeff Beck è considerato il più grande chitarrista che la storia della musica abbia conosciuto. Aggiungo personalmente: istintivo come un uragano e totalmente preso da una coerenza stilistica che nemmeno Hendrix ha mai raggiunto.
Come tutti i geni assoluti Jeff Beck è stato ed è un chitarrista del tutto incostante, fantasioso, meteoropatico che raramente è riuscito a tradurre su disco la grandezza delle idee musicali di cui era ed è tuttora padrone. Solo la dedizione assoluta a quella ricerca interiore che ne ha fatto un “solitario” ha impedito a Jeff Beck di assumere il ruolo che gli compete nella storia della nostra musica.
Contemporaneamente alla esplosione degli Yardbyrds, Chas Chandler, bassista degli Animals, porta con sé dagli Stati Uniti James Marshall Hendrix, il chitarrista del gruppo Jimmy James & The Blue Flames, che aveva aperto i concerti Statunitensi degli Animals e ... leggenda vuole che proprio assieme a Chandler, James Marshall Hendrix assistette ai concerti degli Yardbyrds rimanendo impressionato dall’uso estremo della strumentazione ad opera di uno scatenato Jeff Beck.
Di Jimi Hendrix (perché di lui si tratta), è stato detto e scritto tutto ed il contrario di tutto. Poco posso aggiungere se non ricordarne gli inizi come chitarrista ritmico nel gruppo di Little Richard nel 1963 ele sporadiche collaborazioni con Ike Turner, Albert King e con gli Isley Brothers.
Assieme al batterista Mitch Mitchell ed al bassista Noel Redding (scelti bianchi per favorire un accesso più agevole presso il pubblico Europeo) forma la Jimi Hendrix Experience, il successo è immediato ed una implacabile campagna stampa unita ai concerti in cui Hendrix fa fuoco e fiamme (…) impongono Jimi Hendrix come un protagonista assoluto e come sex-symbol degli anni ’60 anche in virtù del modo non propriamente ortodosso con cui la chitarra viene “presentata” al pubblico (con grandi ovazioni dell’audience femminile).
In studio la Experience si supera con le pubblicazioni di Hey Joe (fine del 1966: primo 45 giri e subito in classifica, olè) e Purple Haze fino al primo, splendido LP: Are You Experienced ? esempio e manifesto della psichedelia Hendrixiana.
Del 1968 e 1969 sono, rispettivamente, Axis: Bold As Love ed Electric Ladyland. Se il primo rappresenta la logica e degna prosecuzione dell’esordio, il secondo può a pieno titolo fregiarsi di essere uno degli album più ambiziosi mai pubblicati sino ad allora: clamoroso sin dalla comparsa nei negozi a causa dello scandalo causato dalla copertina raffigurante nudi femminili contiene gemme di assoluto valore tra cui spicca una allucinata versione di All Along The Watchtower: qui tuttoviene portato all’eccesso, sperimentazione, suoni, lunghezza dei brani, testi e quant’altro.
Il gruppo non regge ad una prova così estenuante, ambiziosa e stressante e Jimi Hendrix, ormai schiavo di alcool e droga, in seguito all’ennesimo litigio con Mitchell e Redding scioglie la Experience per formare la Band Of Gypsies con cui si esibisce a Woodstock nell’Agosto dello stesso anno.
Durante il periodo successivo ed il 1970, Hendrix impegna tutto quello che ha nella costruzione dei propri studi di registrazione: gli Electric Lady Studios a New York in cui vengono raccolte ore e ore di registrazioni da solo ed in jam con amici e compagni più o meno occasionali. In seguito alla morte di Jimi, avvenuta il 18 agosto del 1970 tutte queste registrazioni sono state oggetto di saccheggio da parte di persone che più o meno vicine a Jimi, ne hanno rivendicato più o meno fondati diritti; beh, credetemi: non tutto ciò che è stato pubblicato è degno di nota ma Jimi Hendrix: Blues del 1994 è un documento che ha dello storico.
Jimi non solo era il chitarrista che tutti conosciamo, ma aveva un rispetto per gli standards e la tradizione del Blues (e la sua dannazione) sconosciuta a tanti suoi contemporanei e successori. Confezionato con una cura ed un rispetto non comuni, si apre con la versione acustica di Hear My Train A Comin’: registrata nello studio fotografico di Bruce Fleming nel dicembre 1967 incute timore per come testimonia quanto Hendrix fosse vicino a Robert Johnson…a buon intenditor…
Se la fedeltà di Jimi Hendrix ai canoni tipici del Blues era stata manifestata in modo latente, la fedeltà del contemporaneo John Mayall a quella stessa struttura appare come valore assoluto e palese.
Nato a Manchester nel 1933, si appassiona al Blues sin dalla giovinezza imparando alla chitarra ed al pianoforte i brani di J. B. Lenoir. Alla carriera professionistica giunge quasi trentenne per l’interessamento di Alexis Corner che lo stimola al trasferimento nella capitale.
Nel 1963, John Mayall inizia ad organizzare un proprio gruppo che chiama Bluesbreakers: al basso compare John McVie, compagno di Jimmy Page in molte delle session londinesi.
Il disco di esordio, molto vicino ai modelli della Black Music, viene pubblicato all’inizio del 1965 ma non suscita una grossa presa sul pubblico a causa della voce piuttosto stridula di John Mayall.
Le cose cambiano completamente aspetto alla fine dello stesso anno con il John Mayall Bluesbreakers (With Eric Clapton): Mayall alterna proprie composizioni a covers di Otis Rush, Mose Allison e Freddie King dando origine a quello che ancora oggi è il disco unanimemente riconosciuto come manifesto del British Blues.
Giunto alla fine il contratto a termine con la Decca ed immediatamente rinnovato, il gruppo si sfalda anche a causa della partenza di Eric Clapton che nel 1966, assieme a Peter “Ginger” Baker e Jack Bruce, forma i Cream.
Chitarrista e batterista diventano quindi Peter Green, e Aynsley Dunbar, due dei migliori sperimentatori dell’epoca che caratterizzano in maniera decisa la pubblicazione di A Hard Road (Lp del 1967).
Ormai noti in Gran Bretagna e gruppo di punta del British Blues, i Bluesbreakers cambiano ancora formazione e partono alla conquista dell’America: un giovanissimo Mick Taylor, un tour apprezzato da pubblico e critica ed un lungo soggiorno di Mayall in California producono Crusade ( sicuramente il prodotto meglio riuscito dei Bluesbreakers) e Bare Wires nel 1968 (in cui Mayall esplora territori più “free”) e Blues from Laurel Canyon nel 1969, cronaca dell’incontro e della collaborazione con i Canned Heat che rappresenta anche il sigillo della storia dei Bluesbreakers.
Mentre i discepoli ed i vecchi compagni predicano il rock – blues ai quattro angoli del pianeta (McVie e Green con i Fleetwod Mac, Clapton con i Cream, Taylor con i Rolling Stones) John Mayall cambia completamente direzione: scioglie la formazione e abbraccia uno stile sempre legato al blues ma più soft e decisamente commerciale; Turning Point (live del 1969) rappresenta una vera e propria svolta: un paio di brani memorabili come la lunga California e Room To Move gli permettono di raggiungere quel successo che non riuscirà più ad ottenere negli anni successivi nonostante la copiosa produzione.
I Cream vennero formati da tre musicisti dotati di notevole reputazione nell’ambito del Blues bianco e famosi per la notevole tecnica strumentale di cui erano in possesso: i loro prodotti risentiranno profondamente di questo a riprova che la tecnica strumentale non sempre è sinonimo di grande musica, comunque…comunque nel dicembre 1966 appare il primo LP Fresh Cream che, forte di una cover di Willie Dixon, Spoonful scala rapidamente le classifiche.
Con il secondo, Disraeli Gears (1967, qui trovate Sunshine Of Your Love, un classico per ogni chitarrista che voglia definirsi tale…) ed una tournèè Americana di supporto agli Who, i Cream arrivano alla pubblicazione del concerto al Fillmore racchiuso nel doppio Wheels Of Fire: il doppio rivela le capacità del gruppo e racchiude alcune tra le migliori produzioni di Jack Bruce e Ginger Baker: White Room e Politician sopra tutte sempre più orientate verso tendenze “ hard progressive power blues”.
All’apice della popolarità e della creatività, i Cream annunciano lo scioglimento a causa degli attriti interni provocati dallo scontro delle tre forti personalità ed al mal celato desiderio di Eric Clapton di “ritagliarsi” un gruppo su misura (da lì a poco, assieme a Steve Winwood formerà i Blind Faith).
L’addio al pubblico segue la traccia accuratamente preparata del concerto da vivo il 26 novembre 1968 in concerto alla Royal Halbert Hall di Londra.
Dal primo singolo al concerto di addio sono passati poco più di due anni, un tempo straordinariamente breve per giustificare la popolarità che i tre ottengono presso le masse giovanili.
Goodbye (1969), significativo sin dal titolo,viene pubblicato postumo con tre brani in studio e tre dal vivo tra i quali la arcinota Badge scritta da Clapton e da un fantomatico “Angelo Misterioso” ( …tale George Harrison da Liverpool…)
Più orientati verso un Hard Traditional Blues, furono invece i Ten Years After formati nel 1966 da parte del chitarrista Alvin Lee (ex Blue Jard) e dell’organista Chick Churchill.
Del 1967 è la pubblicazione dell’omonimo LP Ten Years After, fortemente legato alle radici del Blues contenente citazioni di Willie Dixon, Sonny Boy Williamson ed una magnifica versione di I Can’t Keep From Cryin’ Al Kooper.
Il gruppo acquista subito grande fama da una parte all’altra dell’oceano anche in virtù dell’incredibile velocità di Alvin Lee; nel 1968 i Ten Years After sono protagonisti di una acclamata tounèè in America che li vede “jammare” al Fillmore di San Francisco, con Jimi Hendrix, Janis Joplin e Larry Coreyell.
L’anno seguente sono a Woodstock dove eseguono davanti ad un pubblico in delirio una furiosa versione di I’m Going Home (tratta dallo splendido Undead del 1968 …suonate la chitarra e vi credete bravi?
Bene, allora ascoltate la versione che appare nel triplo Woodstock e poi sappiatemi dire…) che assieme a Love Like A Man (del 1970) rimane il più grande successo del gruppo.
Nel 1971 i TYA prendono respiro riducendo le frenetiche esibizioni dal vivo (trenta tournée negli Stati Uniti) ed anticipando lo scioglimento del gruppo che avverrà nel 1973.
I TYA, in occasione dei loro concerti negli USA ebbero occasione di incontrare “il nuovo corso” della musica Americana e consegnarono il testimone della grande storia del Blues ai due biondi fratelli di Nashville.
La ragione del Blues. Prima Parte
La ragione del Blues. Seconda Parte
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