Decima puntata della rubrica che vede Daniele Bazzani e Giovanni Onofri parlare delle...
Ma andiamo per ordine, perché il racconto della serata in questione è assolutamente funzionale all’articolo
Arrivo all’Auditorium e, neanche troppo stupito, apprendo che sono stati venduti appena il 10% dei biglietti, circa 300 su tremila posti disponibili. Cara vecchia Italia, pronta a riempire una piazza per uno stronzetto che ha partecipato a 4 puntate di X-Factor. Il mio biglietto è in galleria, dalla parte superiore si vede forse meglio che da sotto, siamo abbastanza vicini alle casse, speriamo che almeno si senta qualcosa.
Qui bisogna aprire “una parente”, come diceva Frassica: a Roma abbiamo aspettato per decenni un posto dedicato alla musica, abbiamo assistito a concerti nei luoghi più impensabili, cinema, piazze, prati e stadi, con in testa il Palazzo dello Sport dell’Eur, che con suo il riverbero rende tutto simile all’omelia del Papa in piazza San Pietro.
E quando, finalmente, viene costruito un bellissimo e moderno auditorium con tre grandi sale al chiuso e una all’aperto qual è la sua caratteristica principale? Non si sente un cazzo.
Ci ho visto di tutto, dal duo piano-chitarra composto da Michel Camilo e Tomatito alla band di Crosby e Nash, dal nuovo ensemble di Paco De Lucia a Ry Cooder e Nick Lowe, tutti accomunati da un unico, grande fattore. Non ho capito una mazza.
Se oltre a farlo progettare da un grande architetto (fuori) lo avessero fatto progettare da un grande ingegnere del suono (dentro), non avrebbero fatto un soldo di danno. Cara vecchia Italia. Dalla mia postazione privilegiata, il chitarrista che è in me nota subito una cosa: sul palco ci sono solo la batteria, una tastiera, un ampli del basso, un contrabbasso(???) e tre ampli Fender De Ville 4x12.
Stop
Io, che seguo i Lobos da una vita, so bene quanto tengano al loro spettacolo, e so anche che sono dei malati di suoni vintage: possibile non ci sia neanche un amplificatore handmade (li ho visti suonare i Top Hat, fra gli altri) e nemmeno un pedale sul palco? Mah.
Anni fa, intervistati da Guitar Player, alla domanda su quali pedali usassero hanno risposto: “Dimenticati una risposta, l’ultima volta che ce lo hai chiesto i pedali che cercavamo sono aumentati di prezzo del 100%!”, tanto per far capire i tipi. Una voce annuncia che il concerto inizierà in ritardo per un problema nel trasferimento dei musicisti, mmmhhh…
Finalmente vedo le sagome dei nostri a lato del palco e, quando iniziano a salire i pochi scalini che li dividono da noi, il boato è ben più fragoroso di quello che mi aspettavo dal numero di presenti, non siamo 4 gatti, ma neanche una folla oceanica. Sia Hidalgo che Rosas, soprattutto lui, si preoccupano subito di avvertirci che non hanno i loro strumenti. Non gli sono arrivati, e molte cose si spiegano. Cercano però di tranquillizzarci, dicendo che per loro non sarà un problema, e non lo sarebbe stato neanche per noi.
Hidalgo e Perez imbracciano una Telecaster, Rosas una Les Paul mancina, Lozano un contrabbasso (???). Berlin è dietro la sua tastiera ma non c’è traccia del suo fidato sax baritono. Ho scoperto dopo lo show che spesso gli ampli utilizzati sono quelli, quindi forse li avevano chiesti loro, non lo saprò mai.
Purtroppo il concerto inizia
Dico purtroppo perché li vedo suonare, ma non li sento. Cioè, sento la batteria, la tastiera e le voci, un gran rimbombo al posto del basso e poco altro. Non solo: i nostri eroi devono anche difendersi dall’assalto di un miliardo di moscerini materializzatisi all’accensione delle luci del palco. Fantastico, neanche fossimo nelle paludi della Louisiana.
Problema # 1: il fonico (il loro, quindi li conosce) è al piano di sotto, la balconata su cui siamo seduti noi è sopra di lui, quindi è coperto, non sente le casse dell’impianto che sono più in alto! Il fatto è che loro hanno gli ampli a manetta, e per quanto possa essere uno spazio all’aperto, li sparano dritti in faccia a quelli seduti nelle prime file, fonico incluso.
Iniziano con una “Baby What You Want Me To Do” di Jimmy Reed e proseguono con la loro versione di “Come On, Let’s Go” di Richie Valens (quello de “La Bamba”), spiegando che stanno facendo un po’ di jam per settare i suoni. Continuano con la mitica “Shakin’ Shakin’ Shakes” e, visto che so a memoria le parti di chitarra che si intrecciano per tutto il brano (come spesso accade nella loro musica), mi stufo di non sentirli e scendo.
Il suono in platea è leggermente migliore ma le chitarre sono molto alte, tanto che i roadies hanno cercato di coprire gli altoparlanti con delle piccole scatole, visto che i Lobos non hanno alcuna intenzione di abbassare il volume. Chiedo se l’ingegnere del suono sia italiano o meno e, appreso che è americano, mi avvicino.
Gli spiego che noi siamo seduti sopra, in balconata e le chitarre sono assolutamente assenti dal mix, lui mi guarda con aria preoccupata come a dire “azz… non ne avevo idea” e inizia a lavorarci. Risalgo, e continuo a guardare una performance che so essere fantastica, ma non ne ho le prove.
Si può davvero mettere il banco con il mixer di sala in un punto in cui il fonico non sente cosa esce dall’impianto? Roba da matti
Il concerto va avanti e ogni tanto si sente un assolo, i brani sono presi dal repertorio più vecchio, quello che molti considerano il migliore, e a un certo punto una cassa da viaggio (il cosiddetto flight-case) appare accanto a Steve Berlin, che poco prima aveva suonato un flauto traverso prestato da chissà chi. Tirano fuori il suo sax, e io tiro un sospiro di sollievo.
Nel frattempo abbiamo (quasi) ascoltato “Will The Wolf Survive” e “Evangeline”, due fra i brani più belli del primo album, il riff di chitarra del secondo è straordinario, l’intreccio di chitarre del primo è un marchio di fabbrica. “Cumbia Raza” e “Chuco’s Cumbia” sono due perle caratterizzate dal mix di suoni tex-mex tipici dei cinque di L.A.
Da un’altra custodia i roadies tirano fuori il vecchio basso Fender di Lozano (che esulta ridendo e mostrandolo a noi) e la piccola fisarmonica di Hidalgo, e io finalmente sorrido a 30 denti (due del giudizio me li hanno tolti). Ci regalano una versione mozzafiato di “Kiko And The Lavender Moon”, di solito le canzoni hanno un riff, questa ne ha addirittura tre, suonati da tastiere, chitarra e fisarmonica, intrecciati e ripetuti in modo magistrale. Dal cilindro escono addirittura “Just A Man” e “I Got Loaded” e poi si parte.
Quando vedete Louie Perez che si mette alla batteria e gli altri che imbracciano gli strumenti acustici messicani preparatevi, togliete le scarpe con il tacco, mettete quelle da ballo e scatenatevi. Il repertorio che suonarono sul primo disco “And A Time To Dance” e in quello pubblicato anni dopo, “La Pistola Y El Corazon” (richiesta a gran voce dal pubblico), è fatto di veloci danze latine alle quali è impossibile resistere, si deve saltare come tarantolati, non c’è scampo. E pensare che Hidalgo e Rosas sono chitarristi rock-blues di altissimo livello, e fino a un momento prima sembrava di stare a Chicago o nella California psichedelica di fine anni ‘60.
“Anselma” è la mia preferita, ma anche “Corrido #1” non scherza, andatevele a cercare sul tubo. Si prosegue verso il finale, “La Bamba” viene ovviamente suonata e l’ultima è “Mas Y Mas”, brano rock caratterizzato da un riff di 2-note-2 suonato da Hidalgo, selvaggio come solo lui sa essere.
Chicca finale: Hidalgo e Rosas che, dopo aver cercato invano di far salire il pubblico – buttato giù dal servizio d’ordine – sul grande palco a ballare con loro, a show terminato stringono le mani a tutti quelli che lo desiderano, partendo uno da destra e l’altro da sinistra, incrociandosi e continuando sull’altro lato.
Poche considerazioni finali e un suggerimento
All’Auditorium di Roma non si sente un cazzo, sia dentro che fuori.
Hidalgo è un genio. Non suona due volte la stessa cosa ma il suo “playing” è sempre familiare e discorsivo, mai fine a sé stesso. Cesar Rosas è un signor chitarrista, grande cantante e songwriter anche lui, oltre che simpaticissimo. Conrad Lozano è uno dei bassisti con maggior groove che abbia mai ascoltato. Louie Perez è un gran batterista e fantastico con i piccoli strumenti acustici con cui tiene il tempo in maniera micidiale. Steve Berlin è la discrezione fatta persona, nascosto dietro la sua lunga barba suona riff essenziali con tastiere e sax, e ogni tanto fa capire chi sia davvero con assoli di poche note.
Del batterista non conosco il nome, ma mi ha impressionato per gusto, timing e tecnica, oltre che per aver suonato molti brani con una mano sulle congas e l’altra sulla batteria! Un concerto che aveva tutte le premesse per essere una schifezza, ma che rimarrà nella memoria dei presenti grazie alla professionalità e alla qualità dei musicisti e della loro musica.
Il suggerimento: oltre al bellissimo DVD “Live At Fillmore”, su Amazon trovate un cofanetto con i primi 5 album dei Los Lobos. L’ho appena comprato (ho già i vinili) a una quindicina di euro: fatevi un regalo, perché questa è musica vera, di quella che vi accompagna tutta la vita. Per un ascolto più approfondito suggerisco anche il già citato “La Pistola Y El Corazon”, “This Time” e “Colossal Head” e il progetto parallelo della band “Latin Playboys” di Hidalgo e Perez.
Lunga vita ai Lupi.
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