Five Guitars Clan - Various Artists

Scritto da godin il 16/Mar/2010 alle 02:10

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Il disco

Troviamo nel disco 13 brani, di cui qualcuno per “chitarra ed altro”: lo scopriremo poi, man mano che proseguiremo nell’ascolto. Cosa dire prima di tutto? Che il progetto ਠammirevole, le canzoni sono scelte con cura e ben suonate, le chitarre sono registrate in modo superbo. Sarebbero tutte cose scontate o che, comunque, potreste intuire da soli, visto il livello della produzione. Invece preferisco dirvi che, in generale, si tratta di un prodotto in cui domina il risvolto “intimista”, per cui viene naturale ascoltare gran parte delle tracce con luci soffuse, tranne qualcuna che galoppa un po’ di pià¹.

Il disco si apre con Giovanni Ferro che interpreta un pezzo "centenario", la napoletana “Voce ‘e notte”.
Si, ਠmeglio ascoltarlo in modo “intimista”, e cosଠanche la seconda traccia, dove Rodolfo Maltese ci regala una brevissima “What a Wonderful World”, una chicca di due soli minuti, per entrambe l’approccio di ascolto deve essere lo stesso.

Il terzo brano à¨, a mio parere – e non me ne vogliano gli altri chitarristi.- il pezzo forte di tutto l’album: il buon Dario Fornara alle prese con “Le Ragazze di Osaka” di Eugenio Finardi.  Potrei con giusta ragione approfondire le tematiche e tutto quanto gravita intorno a quella canzone, ma preferisco citare il brano di un’intervista rilasciata dall’Autore stesso:

“Quella canzone era stata scritta quando nacque mia figlia Elettra, affetta dalla sindrome di Down. Ebbene come padre, come uomo, provai una profonda solitudine. Quando andai all'ospedale, c'erano i lettini che davano sulla vetrata con i neonati, con i loro padri festanti a guardarli attraverso il vetro. Mia figlia non c'era e io ero seduto da una parte. Fu una sensazione fortissima, la solitudine ਠuna cosa che ti piglia dentro.”

Ecco, con questi presupposti, sono sicuro che comprenderete. Intanto ਠgiusto rendere merito a Dario, che ha reso magistralmente l’idea fortissima di “non voler esser solo mai” . Ma, sorpresa inattesa, cosa succede? A due minuti e mezzo circa, totalmente imprevisto, arriva Eugenio Finardi stesso a cantare il ritornello!

La prima volta che ho ascoltato il cd, ci sono letteralmente rimasto! Non avevo ancora letto le note di copertina e, sappiatelo, la voce che entra nell'ultimo ritornello ਠveramente un colpo di genio: arriva con una forza che ਠraddoppiata, proprio nel momento in cui l’orecchio e la mente sono abituati al rassicurante “sentiero” lungo il quale, fino a quel momento, ci hanno condotto le note della chitarra. Difficile trovare, nelle pubblicazioni odierne, qualcosa che sia altrettanto piacevole quanto inaspettato!

In ogni caso, la vena intimista di cui parlavamo all’inizio continua, preannunciata appunto da questo gioiello di Dario, nella successiva “Passitempo” eseguita da Gabriele Posenato e ancora con Dario Fornara nella successiva “Una Lunga Storia d’Amore” di Gino Paoli . In quest'ultimo pezzo, vi segnalo l’utilizzo della chitarra baritona made by Aldo Illotta (questa,  per intenderci).

Giusto per chiarire il concetto, riprendiamo un passo della recensione che abbiamo appena citato: “Fondamentalmente si tratta di una chitarra acustica con diapason variabile dai 680 mm ai 730 mm, accordata solitamente una quarta sotto mantenendo gli stessi intervalli tra le corde e quindi B,E,A,D,F#,B”.  La chitarra era per di pi๠accordata in “drop D”, cioਠcon la corda pi๠bassa regolata un ulteriore tono sotto: il nostro Dario l’ha suonata appunto con la diteggiatura del Re maggiore, ma con la risultante sonora di un La maggiore, essendo una baritona.

Parlavamo di vena intimista: ecco, ora tuttocambia con l'avvento di  Giovanni Ferro che spariglia le carte in tavola con un bel pezzo di Concato, “Rosalina”, che cambia il ritmo al cd e incomincia a farlo galoppare. Soprattutto, arriva in modo molto evidente il cambio di sonorità  rispetto a quanto abbiamo sentito finora: come per incanto spariscono le corde di metallo ed arrivano quelle di nylon, di cui personalmente condivido la scelta di utilizzo in un brano come quello del cantautore milanese.

 

 

Subito dopo si torna alle corde di metallo per ascoltare il primo duetto: Giovanni Ferro e Dario Fornara alle prese con la famosissima “Che sarà â€ di JosਠFeliciano. Ci trasferiamo momentaneamente in quel di Roma, dove troviamo il nostro Giovanni Pelosi “hardpicker” che ci regala un’eccellente “Birdland” con l’acceleratore tutto già¹. Non perdetevi il ritornello - bellissimo! - ... ci suona duecento parti tutte insieme: veramente da sentire!

Restiamo nella capitale, perch੠"hardpicker" diventa socio di Rodolfo Maltese e, insieme, affrontano la conosciutissima “Just The Way You Are” di Billy Joel, riportando cosଠsui binari canonici il feel generale dell’album.

Terminato il duetto con il grande chitarrista del Banco, succede qualcosa di strano! Dopo il colpo dell’improvvisa voce di Eugenio Finardi, ora arriva un violino a scombussolare “l’impasto di chitarre” al quale l’orecchio si era abituato: ਠPaolo Adami che accompagna Gabriele Posenato in una delicata rilettura della zuccheriana “Diamante”, seguita da un omaggio a De Andrਠda parte di Giovanni Ferro che interpreta "Amore che vieni, amore che vai".

A chiudere degnamente il disco, arriva una coppia di duetti già  sentiti: Giovanni Pelosi e Rodolfo Maltese in quel di Liverpool con “In My Life” interpretata con la consueta classe e, ultimo brano, Gabriele Posenato con il violino di Paolo Adami che fa la parte trainante nel conclusivo strumentale “The south wind”.

Le mie impressioni

Bello, veramente un bell'album, non c’ਠche dire!  Sappiamo tutti che, in un CD di sola chitarra acustica c’ਠsempre il rischio di “assuefazione dell’orecchio” che magari, arrivato al terzo pezzo, non riesce a cogliere pi๠quelle sfumature esecutive la cui ricerca, magari, tanto ਠcostata all’artista in termini di impegno sullo strumento…

Ecco, qui invece arriva tutto bello “dritto”: non c’ਠil tempo di abituarsi che subito cambia qualcosa! Arriva la voce di Finardi, da una chitarra si passa ad un duetto, dall’acustica si passa alla classica, poi arriva il violino. Cambiando spesso le carte in tavola, l’attenzione ਠassicurata!

 

 

All’inizio, dicevo di un risvolto intimista con cui viene naturale avvicinarsi al disco. Ebbene, lo confermo qui senza tema di smentite: ਠl’approccio che garantisce la maggiore soddisfazione all’ascolto.  Si potrebbe effettivamente guardare l’album dal lato tecnico, ma sono sicuro di interpretare la volontà  degli artisti dicendo che non ਠstato pensato per questo e, a parte la digressione per quanto riguarda la baritona di Dario, non crediamo che sia un disco nato per farci apprezzare un accordo cambiato rispetto alla stesura originale oppure un rivolto che fa cantare una nota non prevista.

In fondo, il disco mi ha piacevolmente accompagnato durante un viaggio in macchina, ed il suo ascolto ਠfilato via liscio senza che i miei compagni di viaggio - non musicisti - dicessero il classico “...dai cambia canale, Benny...”.  Questo dimostra che anche l’ascolto pi๠leggero ਠpossibile senza problemi di sorta e che i ragazzi con le "vuote dentro" hanno fatto un gran bel lavoro.

Ciao a tutti
Godin

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